Italia, Pil ancora in crescita stentatissima nel IV trimestre 2015

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Euro pila monete crolla indice in calo
Nonostante gli aruspici renziani, per il 2016 si prospetta un livello inferiore alle attese e, probabilmente, una manovra finanziaria “lacrime e sangue” primaverile

 

Euro pila monete crolla indice in caloSecondo la stima Istat, nel quarto trimestre del 2015 il Pil del Belpaese espresso in valori concatenati (anno di riferimento 2010), corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato è aumentato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dell’1% nei confronti del quarto trimestre del 2014. 

La variazione acquisita per il 2016 è pari a +0,2%, stima ancora l’Istat. Il quarto trimestre del 2015 ha avuto due giornate lavorative in meno del trimestre precedente e una giornata lavorativa in più rispetto al quarto trimestre del 2014. La variazione congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’industria e di un aumento in quelli dell’agricoltura e dei servizi. 

Quella italiana è «un’economia che riemerge molto timidamente dalla peggiore recessione della storia repubblicana, ma che è ancora ben lontana dal fare il salto in avanti necessario per voltare pagina» afferma Andrea Goldstein managing director di Nomisma commentando i dati Istat del quarto trimestre del 2015 contenuti nella Stima Flash diffusa oggi. «Sicuramente, dopo un triennio di contrazione (nel 2014 il Pil era sceso dello 0,4%), la cifra stimata per il 2015 sulla base dei dati trimestrali grezzi +0,7% (di un decimo inferiore una volta corretto per gli effetti del calendario) è una boccata di ossigeno per l’Italia. Ma la crescita lievissima stimata per l’ultima parte del 2015 rispetto al trimestre precedente rivela preoccupanti segnali di rallentamento, prima ancora che si manifestasse l’accelerazione tanto attesa. Meglio – sottolinea Goldstein – non leggere troppo dai dati trimestrali, ma balza all’occhio che il contributo della componente nazionale della domanda è negativo. Si conferma l’apporto positivo della componente estera netta, scongiurando per il momento il rischio del contagio del rallentamento cinese. Ma non di solo export può essere fatta la ripresa italiana». 

Bisognerà attendere marzo per avere una prima stima ufficiale della crescita del Pil per il 2015, ma a questo punto è scontato che sarà inferiore alle previsioni di dicembre, quando l’Istat parlava di +0,8% (non corretto per gli effetti di calendario). Lontano, in ogni caso, l’obiettivo indicato a fine estate nella “Nota di aggiornamento al Def” (+0,9%), cosa che comporterà necessariamente l’approntamento di una “manovra” di primavera dei conti dello Stato, anche per ovviare alla sempre più probabile bocciatura della richiesta di maggiore elasticità del deficit italiano avanznata a Bruxelles dal governo Renzi. La variazione acquisita per il 2016 è pari a +0,2%, la metà dell’effetto di carry-over che Destatis ha annunciato proprio oggi per la Germania. «Insomma, un bel po’ di strada rimane da fare per garantire i livelli necessari per confermare i primi timidi segni di riduzione della disoccupazione. Da fine 2015, il moltiplicarsi di fattori d’incertezza geopolitica a livello internazionale, poi esplosi con l’aggiustamento brutale delle borse, mettono a dura prova le vendite sull’estero. E consumi e investimenti rischiano di non crescere affatto, soprattutto se il fronte meridionale dell’Eurozona entra di nuovo in fibrillazione, come lasciano presagire le nubi che si addensano all’orizzonte tra Atene e Lisbona» conclude Goldstein.

Secondo l’Ufficio Economico Confesercenti «l’Italia sembra aver archiviato la fase più difficile della crisi, ma è rimasta congelata in una fase di stabilizzazione dei livelli di attività senza che vi siano le premesse per un’accelerazione a breve. Le incertezze sul futuro pesano ancora molto, soprattutto sul clima di fiducia degli imprenditori: il quadro generale è quello di un sistema ancora frenato. Gli accenni di ripresa più forti sono stati quelli sul fronte dei guadagni in termini di occupazione dipendente: a dimostrazione che le riforme, se vanno nel verso giusto, producono effetti positivi importanti. Per il resto, però, si naviga ancora a vista, in balia delle tempeste dei mercati, mentre non si intravede un impulso alla crescita da parte della politica di bilancio, che per ora ha sfruttato tutti i margini a disposizione». Secondo Confesercenti «servono interventi che restituiscano fiducia alle imprese, a partire dalla cancellazione definitiva delle clausole di salvaguardia IVA e dal sostegno all’occupazione indipendente. Ma abbiamo bisogno anche di ridare slancio al mercato interno: la nostra economia, infatti, registra una crescita della domanda interna troppo bassa, soprattutto se si considera la presenza di impulsi esterni significativi come quelli derivanti dalla caduta del prezzo del petrolio. Occorre dunque mettere in campo misure coraggiose a sostegno del reddito delle famiglie in generale, liberando altre risorse con una intelligente e coraggiosa riduzione della spesa pubblica improduttiva. Uno stimolo importante alla crescita del Pil può provenire, infatti, solo dai consumi, visto che gli investimenti hanno ancora bisogno di tempo per manifestarsi».

Per Coldiretti i dati diffusi da Istat circa una ripresa del settore agricolo non devono ingannare, in quanto crollano a inizio febbraio i prezzi nelle campagne italiane, dal -60% dei pomodori al -30% per il grano duro fino al -21% per le arance rispetto all’anno scorso. E’ quanto emerge da un’analisi condotta su dati Ismea a febbraio 2016 dai quali si evidenzia che la discesa delle quotazioni al di sotto dei costi di produzione mette a rischio il futuro della Fattoria Italia, in occasione della divulgazione dei dati Istat sul Pil. «Non deve ingannare il fatto che l’agricoltura insieme ai servizi – sottolinea Coldiretti – abbia fatto registrare una variazione congiunturale positiva del valore aggiunto in contrasto con la flessione del comparto dell’industria, concorrendo all’andamento positivo del Pil nel quarto trimestre del 2015 secondo l’Istat. La situazione dei prezzi in campagna – continua Coldiretti – sta assumendo toni drammatici anche per gli allevamenti con le quotazioni per i maiali nazionali destinati ai circuiti a denominazione di origine (Dop) che ormai da giorni sono scesi ben al disotto della linea di 1,25 centesimi al chilo che copre appena i costi della razione alimentare. Cosi come i bovini da carne che sono pagati su valori che si riscontravano 20 anni fa, per non parlare del prezzo del latte che con il venir meno degli accordi da marzo sarà ancora in balia delle inique offerte dell’industria».

In crisi anche il grano a causa delle scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane “Made in Italy”, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. «Un comportamento – sostiene Coldiretti – reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta. Anche prodotti come i cavolfiori o i finocchi hanno visto crollare le quotazioni, rispetto allo scorso anno, rispettivamente del 36,1% e del 26,7%, mentre il radicchio, 32 centesimi al chilogrammo, è posizionato su quotazioni inferiori del 55,4% allo stesso periodo del 2015. La situazione più grave è però quella delle colture in serra, in primo luogo i pomodori, le cui quotazioni si sono ridotte del 60,4% rispetto al 2015, principalmente a causa delle forti importazioni agevolate dal Marocco che stanno condizionando il mercato europeo. In sofferenza anche prodotti tipicamente invernali come arance e kiwi. Le arance sono quotate all’origine il 21,3% in meno dello scorso anno, con un prezzo medio pagato al produttore intorno ai 22 centesimi, in un mercato invaso da agrumi di importazione, spesso spacciati per italiani».

A subire gli effetti delle importazioni è anche un altro prodotto simbolo della dieta mediterranea “Made in Italy” come l’olio extravergine di oliva sotto la pressione dell’annunciato accesso temporaneo supplementare sul mercato dell’Unione di 35.000 tonnellate di olio d’oliva tunisino a dazio zero per il 2016 e 2017, «dopo che in Italia – conclude Coldiretti – sono già aumentate del 520% le importazioni dell’olio di oliva dal Paese africano».