Per il Centro studi di Confindustria il 2015 si chiude con il Pil in crescita del solo 0,8%, con un tendenziale del 1,4% per il 2016. Numeri ben lontani dalla “visione” del Governo Renzi. Padoan: «paese dinanzi ad una stagnazione secolare»
L’Italia non decolla. La ripartenza è più lenta del previsto. Una realtà che “obbliga” il Centro Studi di Confindustria (Csc), negli ultimi Scenari economici, a ribassare le stime di crescita per il 2015 e il 2016: quest’anno il Pil salirà dello 0,8% (dal +1% stimato a settembre), mentre il prossimo anno crescerà di solo l’1,4% (dal +1,5% previsto in precedenza). Nel 2017 il Pil segnerà +1,3%. «In estate – ha spiegato il Csc – invece della pronosticata accelerazione c’è stato un sorprendente scalare di marcia».
Le stime di Confindustria sono inferiori ai target di crescita fissati dal Governo Renzi nella nota di aggiornamento del Def: +0,9% nel 2015, +1,6% nel 2016. Per gli economisti di viale dell’Astronomia «il vero rebus è il mancato decollo della ripartenza italiana». Ripartenza che poteva far leva sulla “spinta poderosa” di politiche monetarie favorevoli, prezzo del petrolio ridotto, tassi d’interesse ai minimi storici e cambio dell’euro debole. Ma così non è stato e il Paese è sostanzialmente “imballato” in una morsa di eccesso di burocrazia e di fisco.
L’incremento del Pil nel 2015, il primo dopo tre anni di calo, «è quasi interamente acquisito con i dati disponibili fino al terzo trimestre». Nel quarto trimestre gli economisti di Confindustria stimano una variazione congiunturale di +0,35%, sostenuta soprattutto dall’aumento dei consumi. Nel 2016 «il recupero sarà più forte, grazie al trascinamento positivo». Di fatto il passo dell`economia italiana «sostanzialmente non muterà rispetto a quanto osservato nel corso del 2015», ha sottolineato il Csc. Da questo punto di vista «rimangono rischi al rialzo, per la possibilità di effetti più ritardati del previsto delle potenti spinte derivanti dai fattori esterni». Nell`orizzonte di previsione, tuttavia, «vi sono anche rischi al ribasso» derivanti dal rallentamento più forte di quanto atteso delle economie emergenti, dalle conseguenze di un`eventuale escalation militare in Siria e dalla paura generata in Europa dagli attacchi terroristici. Come ha commentato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, l’Italia è dinanzi ad un probabile scenario di stagnazione prolungata, con un pesante rischio di deflazione continua.
Sul fronte del mercato del lavoro, il Csc stima che, nel triennio 2015-2017, saranno creati 650.000 posti di lavoro che portano a 815.000 il totale da quando sono ricominciati ad aumentare. Il tasso di disoccupazione calerà gradualmente: nel 2015 sarà in media del 12%, ancora tra i più alti dell’Europa a 28. Nel 2016, nonostante una forza lavoro che aumenta (+0,4% in media d’anno), scenderà all’11,6% e calerà ancora all’11,1% nel 2017. Resta alto, secondo gli economisti di viale dell’Astronomia, il rischio di deflazione: nello scenario Csc la dinamica annua dei prezzi al consumo in Italia salirà gradualmente nel 2016, allontanandosi dallo zero. In media si attesterà allo 0,5% (dallo 0,1% nel 2015). E arriverà allo 0,9% in media nel 2017.
Migliorano i conti pubblici. Il deficit è in calo. Il Csc stima un indebitamento netto del comparto pubblico al 2,7% del Pil quest`anno (dal 3,0% nel 2014), al 2,3% nel 2016 e all’1,6% nel 2017. Rispetto a settembre scorso (2,8% del Pil), il Csc ha rivisto in diminuzione il deficit nel 2015 per effetto della revisione al rialzo del Pil nominale (+1,3%, +1,2% a settembre). Nel 2016 è sostanzialmente in linea con quanto indicato dal governo. Migliora anche il fabbisogno: il debito pubblico si attesta in crescita al 132,9% del Pil, nel 2015 (dal 132,3% nel 2014), per passare ad un leggero calo al 132,1% nel 2016, quando il rapporto percentuale inizierà a scendere, e al 130,6% nel 2017. La pressione fiscale si annuncia in leggerissimo calo, attestandosi al 43,8% del Pil nel 2015 (43,6% nel 2014), al 43,5% nel 2016 e al 43,2% nel 2017, il livello più basso dal 2011. Tenendo conto degli effetti della stabilizzazione del bonus di 80 euro prevista dalla Legge di stabilità 2015, la pressione fiscale scende al 43,2% del Pil nel 2015, al 42,9% nel 2016 e al 42,6% nel 2017. Infine i consumi: gli economisti di viale dell’Astronomia prevedono un triennio di crescita. La spesa delle famiglie aumenterà dello 0,9% nel 2015, dell’1,4% nel 2016 e dell’1,3% nel 2017.
Per il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, «non c’è ancora lo scatto netto, bruciante» della ripresa. Oltre al quadro macro, il Csc calcola però anche le cifre “considerevoli” dell’evasione, che sottrae risorse e «blocca lo sviluppo economico e civile» del Paese. L’evasione fiscale e contributiva – è la stima – ammonta a 122,2 miliardi di euro nel 2015, pari al 7,5% del Pil. Una dimensione «assolutamente patologica», la giudica Squinzi: «da imprenditore, il peggior concorrente che ho è chi non paga le tasse o evita in tutti i modi di farlo», dice parlando in prima persona e sottolineando l’impegno “da sempre” di Confindustria nella lotta all’evasione. Al fisco, sempre secondo le stime di viale dell’Astronomia, vengono quindi sottratti quasi 40 miliardi di Iva, 23,4 miliardi di Irpef, 5,2 miliardi di Ires, 3 miliardi di Irap, 16,3 miliardi di altre imposte indirette e 34,4 miliardi di contributi previdenziali. Contrastare l’evasione ha più di un beneficio: se si dimezzasse e si restituissero ai contribuenti, attraverso l’abbassamento delle aliquote, le risorse recuperate, si avrebbe – calcola il Csc – un 3,1% di maggiore Pil e oltre 335.000 occupati aggiuntivi.
Il Centro studi rievoca anche la stagnazione secolare. Rischio che, tornando per un attimo a vestire i panni del professore, richiama il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, confermando che in generale la ripresa «è debole»: da accademico «sarei tra quelli che ritengono che l’ipotesi di stagnazione secolare non sia così peregrina. Dobbiamo sostenere gli investimenti e il governo cerca di accelerare quelli pubblici». Questi sono «una strategia importante» per la ripresa, sottolinea, insieme alle riforme strutturali.
Oggi il Paese, conclude Squinzi, «continua in una fase di stentata crescita, migliora la percezione e l’ottimismo di consumatori ed imprese, ma lo scatto netto, bruciante, quello che lascia sul posto il passato e la crisi per agganciare una crescita stabile e robusta non c’è ancora».