Brunetta: «servono tagli e dismissioni». Bortolussi: «senza tagli alla spesa pubblica, nel prossimo biennio nuove tasse per almeno 10 miliardi di euro»
Ore difficili per il Governo Renzi all’indomani della pubblicazione dei dati Istat che hanno certificato la ripresa della fase di decrescita del Pil nazionale per il secondo trimestre consecutivo, facendo così rientrare il Paese in una fase di recessione che ha allarmato gran parte del mondo finanziario europeo.
Per il voluttuoso Giglio fiorentino ciò vuol dire avere buttato alle ortiche almeno sei mesi di politiche antirecessive e il futuro è decisamente poco roseo, visto che i maggiori centri di previsione danno per molto difficile se non impossibile il recupero della crescita nella seconda parte dell’anno. Anzi, che l’Italia deve aspettarsi a partire dal prossimo settembre una nuova batosta fiscale.
A rasserenare gli animi non sono servite le parole pronunciate alla Camera durante un’informativa urgente sugli interventi in materia di di revisione della spesa pubblica alla luce degli attuali vincoli di bilancio del ministro all’Economia Pier Carlo Padoan: «un approccio basato sulla revisione della spesa è parte integrante di una strategia basata su due pilastri: riforme strutturali volte a rimuovere ostacoli alla crescita che si sono accumulati in molti anni e politiche di stimolo agli investimenti, pubblici ma soprattutto privati, con misure già prese nel decreto Competitività e con altre che saranno prese, a cominciare dal decreto Sblocca Italia». Questa strategia del governo, spiega Padoan «continuerà a caratterizzare l’azione del governo, i benefici sono crescenti e saranno pienamente tangibili in una prospettiva di medio periodo, quale quella che caratterizza i “Millegiorni”. I tagli lineari offrono una copertura, ma non sono coerenti con la logica della revisione della spesa, né con la legge di stabilita».
Immediata la presa di posizione del capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, Renato Brunetta: «avevo chiesto che venisse qui, professor Padoan, perché ci potesse fare chiarezza, fare un’operazione verità. Non ho sentito nulla di tutto questo. Ancora una volta, la sua relazione è stata esoterica, incomprensibile, non si è capito assolutamente nulla. La gente non ha capito assolutamente nulla. Sfido un cittadino medio a dire se da questa relazione ha capito qualcosa su quello che sta succedendo in Italia. Non abbiamo capito nulla sull’andamento della congiuntura. Siamo in recessione tecnica, due trimestri consecutivi con il segno meno. Lo insegniamo ai primi anni dell’università, ma non è questo il punto. È che la gente ha paura, gli imprenditori non investono, le famiglie non consumano, la gente ha paura il ministro non ha dato una risposta alla gente, dopo quello che abbiamo visto e sentito ieri dopo i dati Istat. La gente ha paura anche per l’andamento dei conti pubblici».
Brunetta ha attaccato anche Renzi: «ha un bel dire il suo presidente del Consiglio! 0,2, 0,4, 0,8, 1,2, è la stessa cosa? Forse non si è reso conto della sua battuta, forse dovremmo proporre alla Sapienza, dopo Schettino, di chiamare anche Renzi per una lectio magistralis sull’economia. Oggi siamo a -0,2% nel secondo trimestre, vale a dire un acquisito di -0,3% sull`anno, il che vuol dire che se tutto va bene siamo rovinati, come diceva una battuta. E Lei, ministro Padoan, insegna che sulla base del dato del Pil previsto si costruiscono i conti pubblici, si costruisce tutto, si costruisce il gettito, si costruiscono le previsioni delle entrata, si costruiscono le previsioni delle uscite». Secondo il capogruppo azzurro «sbagliare di 0,8 non è indifferente, vuol dire che salta tutto, specie se a questo “salta tutto” poi aggiungiamo il fallimento di politiche attuali e del recente passato. Sulla “spending review” Cottarelli non è il solo che ha fallito, hanno fallito anche quelli prima di lui. Se poi a questo aggiungiamo il fallimento sulle liberalizzazioni, sulle dismissioni: ce lo ricordiamo tutti l’1% di dismissioni dell’ottimo Grilli? Neanche un euro è stato dismesso, nulla è venuto, altro che 16 miliardi di euro».
Secondo Brunetta, «se il 2014 è nero questo darà un trascinamento negativo anche al 2015. Con questi dati non solo chiudiamo male il 2014, ma ipotechiamo negativamente il 2015. Il che vuol dire disoccupazione crescente nel 2014, disoccupazione crescente nel 2015, e solo se ci sarà un`inversione di tendenza duratura, di almeno un anno nel 2015-2016, noi potremmo vedere la luce occupazionale, con qualche segno più, tra il 2016 e 2017».
Dopo l’informativa del ministro Padoan alla Camera, interviene anche il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, ritorna sulla denuncia fatta l’altro ieri: «dobbiamo sperare nel taglio della spesa pubblica improduttiva, altrimenti nel prossimo biennio pagheremo 10 miliardi di euro di nuove tasse: 3 nel 2015 e altri 7 nel 2016». Altro che non ci sarà alcun incremento delle tasse come vanno a dire Renzi e Padoan. Secondo il Def approvato nella primavera scorsa, infatti, nel triennio 2014-2016 c’è l’impegno del Governo di tagliare a regime la spesa pubblica per un importo di 32 miliardi di euro. Per l’anno in corso, segnalano dalla Cgia, l’obiettivo è di raggiungere una riduzione delle uscite di 4,5 miliardi di euro, di cui a metà anno si è visto ancora poco o nulla.
La situazione diventa ancor più impegnativa per gli anni a venire. Nel 2015 il Governo ha deciso di tagliare la spesa pubblica di 17 miliardi di euro, con un impegno minimo da raggiungere che non potrà essere inferiore ai 4,4 miliardi di euro. Nel caso il Governo non sia in grado di centrare questo obiettivo minimo, scatterà la cosiddetta “clausola di salvaguardia”. In altre parole, a fronte del mancato taglio della spesa, i contribuenti saranno chiamati a sopportare un aggravio fiscale di 3 miliardi di euro, a seguito della riduzione delle agevolazioni/detrazioni fiscali e all’aumento delle aliquote, mentre i ministeri dovranno razionalizzare la spesa per un importo di 1,44 miliardi di euro.
Nel 2016 l’impegno sarà ancora più importante. A fronte di una contrazione delle uscite che dovrà salire a 32 miliardi, l’obiettivo minimo sarà di 7 miliardi di euro, altrimenti scatterà la clausola di salvaguardia per tutti i cittadini, mentre i ministeri dovranno “sforbiciare” le uscite per 1,98 miliardi di euro. Nel 2017 e 2018 le risorse già impegnate dal taglio della spesa pubblica ammontano rispettivamente a 11,9 e 11,3 miliardi di euro. Il conseguimento di questo risparmio di spesa è garantito, lo ripetiamo, da apposite clausole di salvaguardia, che consistono nel taglio delle risorse a disposizione dei Ministeri, e, in particolar modo, da un aumento della tassazione per i cittadini di 10 miliardi di euro nel 2017 e di altri 10 miliardi di euro nel 2018.
Insomma, se Renzi non prende il coraggio a due mani e non inizia a tagliare seriamente la spesa pubblica, un futuro di maggiore tassazione per gli italiani è assicurato.