Infrastrutture il disastro Italia in fatto di reti strategiche. Quello di Genova è il quarto crollo nel giro di poco tempo che ha interessato un ponte, questa volta causando numerose vittime, oltre che pesanti ripercussioni sulla rete trasportistica locale e nazionale. Un disastro non dovuto solo all’imponderabilità degli eventi ma, piuttosto, dalla sottovalutazione degli allarmi lanciati da tempo e da investimenti in manutenzione ordinaria e straordinaria fatti con il contagocce a fronte di utili da capogiro da parte delle società concessionaria.
Un’Italia alle prese con una rete infrastrutturale sempre più deficitaria e laddove esistente a rischio di rottura, nonostante il fatto che siano fondamentali per un paese manifatturiero ed esportatore, dove il 90% delle merci e l’80% del traffico passeggeri viaggia su una rete stradale spesso concepita nella prima metà del secolo scorso, con standard e tecnologie oggi inadeguati per sopportare la mole di traffico e i requisiti di sicurezza. E il crollo del ponte Morandi (dal nome del suo progettista) a Genova sta lì a dimostrarlo in tutta la sua gravità.
Il Paese ha una disperata necessità d’investimenti sul miglioramento e sul potenziamento della propria rete infrastrutturale, stradale e ferroviaria. Fino ad oggi, hanno avuto la meglio i vari potentati economici e le lobby che girano attorno alle concessioni autostradali e ai grandi appalti per l’ammodernamento della rete ferroviaria, dove il costo chilometrico di costruzione è di 5-6 volte superiore alla media europea. Probabilmente è giunto il momento di fare una cesura con il passato, con la frettolosa ed improvvida privatizzazione fatta dal non dimenticato Romano Prodi, un personaggio il Mortadella che è riuscito a regalare per un pugno di lire autentiche galline dalle uova d’oro a privati “amici” gran parte delle concessioni autostradali. Dei 6.926 chilometri di rete autostradale attualmente in esercizio, la metà è gestita da Autostrade per l’Italia appartenente alla famiglia Benetton, il resto da altri gruppi privati come Gavio e Toto e da enti territoriali locali, come la Serravalle (regione Lombardia), Autovie Venete (Friuli Venezia Giulia e Veneto) o l’Autobrennero (Trentino Alto Adige). Tutti soggetti che macinano ogni anno utili da capogiro che vengono solo marginalmente reinvestiti nell’infrastruttura, mentre il resto viene dirottato in utili per gli azionisti o in avventure finanziarie.
Tipico è il caso di Autostrade per l’Italia dei Benetton: nel 2017 su 3,9 miliardi di ricavi, il margine lordo è stato di 2,4 miliardi con una fantastica redditività di circa il 50%, ma con investimenti in continuo calo: dai 232 milioni del primo semestre 2017 ai 197 di analogo periodo del 2018, meno del 10% degli utili registrati. Evidentemente, gli azionisti preferiscono interessarsi di altro, dall’acquisto della spagnola Abertis (che ha fatto di Atlantia – la holding Benetton proprietaria di Autostrade per l’Italia – il primo gruppo mondiale in fatto di chilometri di autostrada gestiti), società che in Italia si è aggiudicata la società Brescia-Padova ceduta da Banca Intesa con un comodo pagamento dilazionato, oppure all’aeroporto di Roma o a quello di Nizza o, ancora, ad una quota dell’Eurotunnel che unisce Francia e Inghilterra via ferrovia.
I Benetton non sono da soli. La famiglia Gavio ha realizzato il potenziamento dell’A4 tra Milano e Torino con molta calma a fronte di pedaggi pesantemente rincarati di anno in anno e di disservizi colossali per l’utenza. Ne vanno meglio i concessionari pubblici, come la regione Trentino Alto Adige proprietaria dell’Autobrennero – la cui concessione è ormai scaduta da ben 4 anni – che negli ultimi tre lustri ha investito sul potenziamento della ferrovia – ancora tutto da realizzare – invece che su quello autostradale, con il risultato che l’A22 si percorre alla stregua di una normale statale con incolonnamenti e rallentamenti quasi tutto l’anno. Un’arteria fondamentale per i collegamenti con l’Europa che è ancora a due sole corsie di marcia quando dovrebbe esser da anni a tre corsie, cosa invisa ai locali potentati politici di centro sinistra soprattutto per ragioni ideologiche.
Nell’emergenza di quanto accaduto a Genova, il ministro ai Trasporti e Infrastrutture, Danilo Toninelli, ha buttato lì la possibilità che lo Stato possa revocare le concessioni autostradali affidate ai privati e riportarle in capo all’Anas, anche per cancellare lo scandalo dei mega utili e delle manutenzioni sempre più scarse. Toninelli dovrebbe avere il coraggio di andare fino in fondo, sia per recuperare in capo allo Stato capacità decisionale e programmatoria in un ambito strategico per gli interessi nazionali, sia per evitare che i concessionari continuino a lucrare a spese dei cittadini e delle aziende, utilizzando parte degli utili per avviare un piano straordinario di ammodernamento di quanto esistente e di nuova infrastrutturazione e parte per tagliare i costi di pedaggio, ora decisamente cari. Può farlo iniziando dalle concessioni già ampiamente scadute, come quella di Autobrennero, per poi passare ai Benetton, ai Gavio e ai Toto. Lo aspettiamo alla prova dei fatti, per vendere se il cambiamento sempre annunciato dai pentastellati di governo questa volta c’è davvero.