Intervista a tutto tondo su temi fiscali d’attualità, dal taglio delle tasse con la flat tax, al regime forfettario, al taglio della burocrazia e degli adempimenti, dagli indennizzi per le vittime del fallimento delle banche italiane all’attivazione di una seria revisione della spesa pubblica tramite l’entrata in vigore dei costi standard, ai fondi certi per le regioni che avranno maggiore autonomia: su questo ed altro, “il NordEst Quotidiano” ha interrogato il neo sottosegretario all’Economia e Finanze, il padovano e commercialista Massimo Bitonci.
Sottosegretario Bitonci, il Governo come intende affrontare il tema del taglio della tassazione sulle PMI e sui professionisti, che sono le realtà che maggiormente hanno patito gli effetti della crisi e che stentano ad imboccare la strada della ripresa?
Il tema è già all’ordine del giorno e nei giorni scorsi ci sono stati una serie di approfondimenti con il ministro Giovanni Tria, con il quale abbiamo raggiunto una condivisione di fondo del percorso da intraprendere. Il nostro obiettivo è introdurre la flat tax progressivamente, partendo dalle attività con un fatturato fino a 100.000 euro, che in Italia vuol dire la stragrande maggioranza dei professionisti, dei lavoratori autonomi, dei commercianti, degli artigiani, oltre che una buona parte delle piccole e medie imprese. Sarà un regime forfettario al 15% che prevede l’abolizione di gran parte delle scritture contabili, non ci sarà la dichiarazione Iva, le prestazioni saranno esenti Iva, unico adempimento sarà il tenere le fatture acquisto e vendita per il calcolo annuo del volume d’affari cui applicare i coefficienti. Personalmente, entro questo tetto, sarei per abolire l’obbligo della fattura elettronica che comporta solo costi per le imprese. No Iva, no redditometro, no spesometro, no studi di settore: si può capire l’importanza del provvedimento per attuare una vera “liberazione” da fisco e burocrazia per chi lavora in proprio.
Si tratterebbe di un’autentica rivoluzione mai vista in Italia dall’avvento della riforma Visentini…
Sarebbe un risultato epocale, tant’è che quando ne ho parlato con le categorie e con gli stessi funzionari del ministero ho trovato attenzione e condivisione. Anche tra le stanze ministeriali ci si è resi conto che così non si può più andare avanti e un taglio secco alla burocrazia e agli adempimenti è auspicato anche dalla “macchina” ministeriale. Come ho detto, si tratta di un percorso già largamente condiviso che dovrebbe iniziare a vedere la luce nelle prossime settimane in modo da arrivare pienamente effettivo per il 2019, con la possibilità di estenderne gli effetti già dall’anno fiscale 2018, se entro la fine dell’anno vedremo spazi di manovra rispetto all’andamento dell’economia. Ne trarrà beneficio qualcosa come 1,5 milioni di partite Iva, quasi un terzo del totale esistente in Italia.
Cosa è lecito attendersi da questa riforma?
Assieme a questo regime per le attività già in essere, ho proposto al ministro che la nuova normativa sia estesa per le nuove iniziative produttive e per l’emersione del sommerso, perché oggi ci sono tantissime attività al Nord, ma soprattutto al Sud, che saranno attratte da questo regime fiscale e burocratico. Oltre che semplificare, ci attendiamo un deciso incremento di gettito da parte di quei soggetti che operavano in nero o che attivavano pratiche di elusione per abbattere legittimamente il carico fiscale grazie al deciso taglio degli adempimenti, che sono un costo sia per le imprese, ma anche per l’amministrazione finanziaria chiamata a controllare. Con un tetto a 100.000 euro credo che ci si possa attendere anche un incentivo a lavorare di più, visto che il nuovo regime fiscale è decisamente conveniente e meno regressivo dell’attuale sistema.
Questo sistema incentiva anche la voglia di mettersi in proprio.
Dalla flat tax sarebbe lecito attendersi un maggiore spirito d’imprenditorialità sia da parte dei giovani che da parte di tutti coloro che hanno maturato esperienza da dipendenti e che vogliono fare il salto verso l’imprenditorialità. Il Paese ha bisogno di nuovi imprenditori che grazie alle loro idee contribuiscano a creare nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro. Offrire un regime forfettario agevolato sia sul fronte della tassazione che su quello degli adempimenti credo possa essere una sorta di virtuosa quadratura del cerchio. Oggi a frenare il salto più che il livello di tassazione è l’eccesso di burocrazia e di adempimenti, cosa che frena anche gli investimenti provenienti dall’estero.
In quest’ambito, la sua esperienza professionale di commercialista ha aiutato.
Del vertice ministeriale, io sono l’unico ad essere un commercialista e so bene quali siano le vicissitudini di chi ha una partita Iva. Si tratta di persone che fino ad oggi sono stati maltrattate se non peggio, oserei dire macellate, da un fisco esoso e da una burocrazia pervasiva ed ottusa, tanto che oggi il piccolo imprenditore deve dedicare una parte non trascurabile del suo impegno agli adempimenti di ogni sorta verso la pubblica amministrazione, senza mai la certezza di essere nel giusto. Tagliare gli adempimenti è una riforma che non costa nulla e che porta benefici per tutti. Vorrei che con questo provvedimento, si trasformasse il piccolo contribuente da suddito vessato a cittadino con precisi diritti e doveri, oltre che rispetto da parte di uno Stato che vive grazie alle tasse che egli versa. Vorrei istituire un rapporto di maggior fiducia reciproca, ma se qualcuno ne approfitta sono guai, seri e certi. Questa ed altre sono mie proposte che avevo presentato ancora nel 2008 all’epoca del ministro Tremonti, che l’aveva attuata solo limitatamente alle nuove aperture e con un tetto piuttosto basso di 30.000 euro lordi, cosa che ne ha limitato l’applicazione.
Nel nuovo rapporto tra fisco e contribuenti si parla anche di “pace fiscale”.
Recuperare rapporto con il contribuente attraverso un sistema di deduzioni e detrazioni l’emersione dell’evasione avvenga attraverso meccanismi diversi rispetto a quelli coercitivi e presuntivi come redditometro o spesometro che non viene neanche più usato o gli studi di settore. Bisogna fare emergere l’evasione anche attraverso un rapporto diretto con il contribuente, mediante una riforma del processo tributario, attivando una forma di preinterpello tramite cui si possa risolvere in modo agevolato e definitivo ogni forma di contenzioso con l’ufficio delle Entrate, in modo che il contribuente possa dimostrare con semplicità, cosa che del resto avviene già in Germania, il proprio patrimonio, la sua capacità di reddito e di spesa, dando al funzionario la possibilità di accertare e di chiudere il contenzioso con una semplice trattativa basandosi su dati certi e non presuntivi.
Cambiamo scenario. Nel primo semestre 2018 il mercato automotive italiano ha registrato un nuovo calo, complice l’incertezza sul futuro del Diesel ma anche a causa dell’eccessivo peso fiscale che grava sul settore, ad iniziare dai superbolli. In vista c’è qualche alleggerimento per portare il settore ad una media europea?
Si tratta di una situazione da affrontare e risolvere. Credo che sia un grave errore intendere l’automobile sempre come un bene di lusso, quando ormai è uno strumento fondamentale nella produzione del reddito aziendale e professionale. Gli attuali limiti di deducibilità sono eccessivamente bassi e vanno sicuramente aggiornati, portandoli in linea con la media europea, anche per dare maggiore competitività alle nostre aziende rispetto ai concorrenti europei. Quanto ai superbolli, tutti abbiamo ben presente il disastro causato dal governo Monti alla marineria italiana, che è stata pressoché azzerata, con la sparizione di migliaia di posti di lavoro e il crollo dei fatturati aziendali. Tant’è che quando sono stati aboliti, il settore si è risollevato, ma i danni causati sono stati enormi. Nel caso delle auto prestazionali è avvenuto lo stesso, con il mercato italiano che si è praticamente azzerato, a vantaggio di leasing e noleggi esterovestiti, con la perdita di più gettito fiscale tra Iva, manutenzioni e bolli ordinari mancati rispetto al gettito del superbollo, che andrà superato quanto prima.
Aumento delle aliquote Iva: l’impegno del Governo a mantenerle invariate pare ormai acquisto.
Agire sull’incremento dell’Iva come avvenuto nel passato è stato complessivamente negativo, perché ha depresso il mercato. Innalzarle ulteriormente sarebbe stato controproducente. Anche per l’aliquota Iva vale per certi aspetti la curva di Laffer utilizzata per i redditi personali: quando l’aliquota aumenta troppo, il gettito diminuisce, perché la gente lavora o acquista di meno. L’aumento delle aliquote Iva ha avuto effetti anche sulla composizione della spesa delle famiglie, facendone abbassare complessivamente la qualità rispetto alla quantità che è rimasta quasi invariata. La gente si è spostata su merci di minore livello, spesso prodotte all’estero, con svantaggio evidente per il sistema produttivo del Paese e con i risultati che tutti possono vedere in ermini di aziende chiuse e posti di lavoro perduti. Per riportare il commercio ai livelli di ante crisi sarebbe più utile abbassare le aliquote Iva che, tra l’altro, sono tra le più elevate tra i “grandi” paesi europei. Ma al momento questo non è ancora possibile.
Per combattere l’economia sommersa, sarebbe utile attivare meccanismi di conflitto d’interessi?
Anche questa è una delle proposte che ho avanzato già nel 2010. Con un adeguato sistema di detrazioni e di deduzioni si attiva il conflitto d’interessi tra prestatore di servizi ed acquirente. Si tratta di un sistema trasparente ed efficace, già utilizzato in Germania e negli Stati Uniti. Non solo: l’ufficio delle Entrate sta completando l’istruttoria relativamente ad una mia vecchia proposta, quella del sorteggio a premi dei vari scontrini fiscali. Questo potrebbe essere un sistema a costo zero per fare emergere la piccola evasione, per incentivare l’acquirente a chiedere lo scontrino fiscale, il cui numero seriale o qualcosa di simile viene estratto a sorte ogni settimana dal Ministero. Il numero estratto vince un premio. Laddove è stata applicata, la “lotteria degli scontrini” ha contribuito a fare emergere una considerevole quota di reddito sommerso ed evaso co conseguente incremento fiscale che ha più che compensato il monte premi erogato.
Quanto ad una seria revisione della spesa pubblica, dove si annidano sacche impressionanti di sprechi, che può dire?
Il taglio della spesa pubblica in alcuni settori è difficile da attuare, ma in altri è possibile attuarlo tramite l’attivazione dei costi standard e mediante un più ampio federalismo fiscale di responsabilizzazione dei centri di spesa. Con la sola applicazione dei costi standard parametrata ai “campioni” di ogni settore, è possibile tagliare la spesa pubblica sia a livello centrale che locale di svariate decine di miliardi all’anno, responsabilizzando anche i centri decisori delle spese, in quanto devono impegnarsi per raggiungere maggiori efficienze di processo, cosa che comporta, oltre a minori costi, anche un migliore servizio reso ai cittadini, con la conseguente soddisfazione di questi. Solo riguardo al comparto sanitario nazionale, applicando i costi standard di Veneto e Lombardia – che hanno un servizio sanitario tra i migliori sia a livello italiano che europeo – si potrebbero ottenere economie di una trentina di miliardi di euro all’anno che potrebbero essere utilizzati sia per abbattere il carico fiscale su cittadini ed imprese, ma anche per erogare nuovi servizi. Pensi a cosa si potrebbe fare estendendola a tutti gli altri settori di spesa del Paese che oggi sono una sorta di fortini inespugnabili.
Quanto è realistico trasformare in pratica questo scenario?
Si tratta solo di avere la volontà politica di farlo e questo Governo mi sembra intenzionato a percorre questa strada. Dobbiamo essere tutti consci che non ci sono più risorse per alimentare lo spreco, le rendite di posizione e le clientele. Se vogliamo rimettere l’Italia in grado di competere, bisogna abbattere le tasse e il mostruoso debito pubblico. Questo lo si fa migliorando l’efficienza della spesa pubblica ad ogni livello, centrale e periferico. Chi non è in grado di rispettare i costi standard viene rimosso, così come accade in ogni azienda che si rispetti quando non si centrano gli obiettivi del budget annuale e di efficienza. Gli enti locali che non si adeguano devono essere commissariati per raggiungere gli obiettivi fissati dal Governo. Si tratta di un quadro dove tutti devono essere responsabilizzati al loro ruolo, sia amministrativo che, soprattutto, politico. E credo che il primo caso da prendere in considerazione sia la Regione Sicilia che deve sforzarsi di utilizzare bene le proprie risorse senza battere cassa a Roma per coprire i mostruosi buchi di bilancio dovuti alla sua inefficienza. Se altre autonomie speciali come il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige sono virtuose con competenze e risorse finanziare inferiori a quelle della Sicilia, non vedo perché anche la Sicilia non debba sforzarsi di raggiungere un livello di qualità migliore. Per il bene di tutti, degli italiani e, prima, degli stessi siciliani.
Rispetto alla richiesta di maggiore autonomia per le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, le nuove competenze saranno accompagnate anche da risorse economiche certe?
L’autonomia senza adeguate risorse è destinata a rimanere sulla carta. Le Regioni che avranno l’assegnazione di maggiori competenze avranno anche le risorse adeguate per esercitarle. Saranno definite nei vari incontri che ci saranno tra il Governo e le singole Regioni nei prossimi mesi, per arrivare entro la fine del 2018 al varo del nuovo rapporto Stato-Regioni.
Infine, altro tema di attualità è relativo agli indennizzi degli “sbancati”: cosa intende fare il Governo per dare un più serio ristoro ai clienti truffati?
Sto ricevendo richieste di incontro da parte delle tante associazioni e comitati dei correntisti truffati che sono stati coinvolti dalle crisi delle banche. Sul tavolo del Governo abbiamo due temi riguardati il mondo bancario: quello della riforma del credito cooperativo che andrà verso un proroga di almeno sei mesi per approfondire la portata di tutto il contenuto, mentre l’altro è quello degli indennizzi ai truffati delle banche. Posso anticipare che entro le prossime due settimane io e il mio collega sottosegretario Alessio Mattia Villarosa del M5S incontreremo tutti i rappresentanti dei correntisti coinvolti per arrivare ad una più equa rideterminazione degli indennizzi da parte del fondo statale. Vogliamo arrivare ad una soluzione che sia condivisa e soddisfacente per tutte le parti coinvolte.
Spero, come truffato da Veneto Banca, che questa sia finalmente la volta buona, sono quattro anni che la mia vita e quella della mia famiglia sono fortemente penalizzate da questo disastro, siamo allo strenuo.
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