Fisco, nei prossimi anni la pressione è destinata a crescere ulteriormente

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matteo-renzi-premier-ilnordestquotidianoPer la Cgia il record del 2014 sarà superato negli anni a venire. Intanto Standard & Poor declassa ulteriormente l’Italia e la fiducia in Renzi cala

Secondo quanto riferisce la Banca d’Italia, nel 2013 la pressione fiscale in Italia ha raggiunto il livello storico del 43,3%. Tuttavia, fa sapere la CGIA, il carico fiscale sui contribuenti italiani nei prossimi anni è destinato ad aumentare ulteriormente. Secondo le previsioni realizzate dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, la pressione fiscale salirà dal 43,3%, valore confermato anche per il 2014, al 43,6% previsto sia nel 2016 sia nel 2017.

«Un incremento – segnala il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – riconducibile al progressivo aumento delle aliquote Iva che avrà inizio a partire dal 2016. Tuttavia, questo aumento di tassazione potrebbe essere evitato se il Governo riuscirà a tagliare la spesa pubblica di quasi 29 miliardi di euro». Una revisione della spesa che, fino ad ora, è rimasta solo sulla carta, nonostante il rapporto Cottarelli indichi analiticamente dove si può tagliare per recuperare risorse.

Dalla Cgia si sottolinea che per il 2016 il Governo Renzi dovrà razionalizzare la spesa per 16,8 miliardi di euro: l’importo di tale operazione salirà a 26,2 nel 2017 per toccare i 28,9 miliardi di euro nel 2018. Se questi risultati non saranno raggiunti, è previsto un aumento dell’aliquota Iva di 2 punti a partire dal 1 gennaio del 2016, sia per quella attualmente al 10% che per quella al 22%. Dal 1 gennaio 2017 entrambe le aliquote subiranno un altro ritocco dell’1%, mentre dal 1 gennaio 2018 aumenterà di un altro 0,5% solo quella più elevata. Alla fine del triennio 2016-2018, l’aliquota inferiore potrebbe arrivare al 13%, mentre l’altra al 25,5%, record europeo.

Analogamente, se non verranno raggiunti gli obiettivi in termine di riduzione della spesa, dal 1 gennaio 2018 scatterà un ulteriore aumento dell’accisa sui carburanti, oltre a quella che scatterà già dal prossimo primo gennaio a seguito delle norme di salvaguardia volute dal governo Letta, in misura tale da assicurare in quell’anno maggiori entrate nette per almeno 700 milioni di euro.

«L’esecutivo Renzi – conclude Bortolussi – si è impegnato a rispettare i vincoli richiesti da Bruxelles attraverso il taglio della spesa pubblica. Diversamente, scatteranno automaticamente gli aumenti di imposta che garantiranno comunque i saldi di bilancio. In altre parole, se il Governo non riuscirà a tagliare gli sprechi e gli sperperi, a pagare il conto saranno ancora una volta gli italiani che subiranno l’aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti».

Che Renzi sia effettivamente in grado di incidere sui numeri del bilancio dello Stato dubita Standard & Poor’s che ha tagliato il rating del Belpaese portandolo da BBB con tendenza negativa a BBB- con tendenza stabile. Secondo l’agenzia di rating, «abbiamo notato che Renzi ha fatto alcuni progressi con il suo “Jobs Act” ma non crediamo che le misure previste creeranno occupazione nel breve termine. Come conseguenza il già elevato tasso di disoccupazione, potrebbe peggiorare fino a che non arriverà una sostenibile ripresa economica». Per S&P «un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e bassa competitività, non è compatibile con un rating BBB, secondo i nostri criteri».

A chiudere la giornata con un travaso di bile al premier arriva anche il sondaggio sul gradimento del governo e del suo operato. Secondo la rilevazione settimanale di Ixè per Agorà-Rai 3, la fiducia nel governo è in calo dal 39 al 38%, mentre crescono dal 61 al 62% coloro che ne hanno poca o nessuna. Oltre al calo personale della fiducia nella persona del premier (che passa nel giro di una settimana dal 41 al 40%, con una costante tendenza al calo da metà ottobre ad oggi), Ixè registra anche un poco lusinghiero giudizio sulla fiducia complessiva nel Paese. Alla domanda se con Renzi premier l’Italia stia meglio o peggio, per il campione degli intervistati il 32% ritiene meglio, mentre il 47% stia peggio, con un 21% che non si esprime.