Nelle “Piccole Patrie” d’Italia cresce al voglia di contarsi sul tema dell’autodeterminazione e dell’autonomismo spinto
Il referendum scozzese, malgrado la sconfitta degli indipendentisti più netta delle previsioni dell’ultima ora, resta un modello da seguire agli occhi di chi vuol affrancare l’Italia del nord da Roma. Il fronte politico guidato dalla Lega Nord – che in Veneto chiede indipendenza e in Lombardia punta invece su una forte autonomia – aveva sperato di sfruttare l’effetto domino di una vittoria del sì scozzese. Ora deve concentrarsi sul metodo, per allargare il consenso.
Per il governatore lombardo Roberto Maroni «non bisogna avere timore di consentire al popolo di esprimersi, ma imitare quanto accaduto in Gran Bretagna», confermando la volontà di indire un referendum consultivo sull’ipotesi di una Lombardia che rimanga sì italiana, ma con uno Statuto speciale decisamente spinto, sul modello della regione Sicilia o del confinante Trentino Alto Adige. L’obiettivo del governatore leghista è di trattenere sul territorio una gran parte degli introiti fiscali che ora vanno tutti a sfamare lo Stato centralista e le realtà assistite. Per Maroni, «un referendum non può essere decisivo, perché la materia è costituzionale, prerogativa quindi del Parlamento. Ma una mobilitazione popolare sarebbe un segnale politico di forte pressione, se vero che la Scozia avrà comunque grandi vantaggi dopo il voto al referendum».
Il vento della voglia di maggiore indipendenza o, in subordine, di un autonomismo spinto spira anche su altre realtà italiane che vorrebbero maggiore autonomia, ad iniziare da un Veneto incassato ora tra le autonomie speciali del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia. Per il governatore del Veneto Luca Zaia «si rotto un argine, crolla anche questo tabù, questo totem del fatto che non si debba mai chiedere». «Il vento giusto comincia a girare anche da noi», dice Roberto Cota dal Piemonte dove la Gioventura Piemonteisa vuole chiedere un referendum analogo a quello scozzese. L’Union Valdotaine fa notare che, nonostante il risultato, da Edimburgo arriva il segnale ai paesi e all’Europa che «non si può più andare avanti così. In Alto Adige i partiti di lingua tedesca si sono detti delusi dell’esito del referendum sull’indipendenza della Scozia. «Ora – ha detto il segretario della Svp Philipp Achammer, alleata a Bolzano come a Roma del centralista PD di Renzi – arrivato il momento per discutere seriamente sul futuro dell’Europa come Europa delle Regioni con più autonomia per gli enti locali». La Suedtiroler Freiheit, il partito di Eva Klotz, esprime rammarico ma parla comunque di «una festa della democrazia. L’autodeterminazione è possibile, anche se l’esito del referendum va rispettato». «Ieri la Scozia, domani l’Alto Adige», commentano i Freiheitlichen, mentre secondo Andreas Poeder (Buerger Union) il voto in Scozia «è un voto per la democrazia e per l’autodeterminazione e un capitolo nella storia dell’Ue». Gli Schuetzen parlano comunque di un “incredibile successo”, solo per il fatto che il referendum sia stato possibile.
Quanto agli scenari immediati, mentre il Veneto chiede a Roma di ritirare l’impugnativa alla Corte Costituzionale della legge regionale che ha autorizzato il referendum consuntivo sull’autodeterminazione della regione, rimandando in alto mare la celebrazione dello stesso, in Lombardia si sono già stanziati i fondi per la sua celebrazione: 30 milioni di euro, anche se l’iter per l’apertura delle urne non è stato ancora avviato: il principale problema di Maroni è trovare i voti dei due terzi dei consiglieri, necessari per un via libera che eviti lo smacco in Aula. Il centrodestra si è già espresso a favore di questa proposta che di fatto sostituisce quella di una macroregione del Nord che nel programma elettorale del 2013 ipotizzava un negoziato con il Governo, mai decollato, per ottenere più competenze.