In Italia la disparità fiscale è sempre più grave ed intollerabile: 17 milioni di contribuenti, oltre il 40% del totale, dichiarano di guadagnare meno di 15.000 euro l’anno e pagano solo l’1,29% dell’Irpef complessiva, mentre coloro che invece dichiarano redditi dai 35.000 euro in su sono solo 6,4 milioni, il 15, 27% del totale, e pagano il 63,4% dell’imposta sul reddito della persona fisica.
Dalla nuova indagine di Itinerari previdenziali, presentato alla Camera sulla base delle dichiarazioni dei redditi riferite al 2022, emerge un Paese spaccato a metà, patria della disparità fiscale, nel quale oltre il 93% dell’Irpef è pagato dal 46,81% dei contribuenti, quelli che dichiarano almeno 20.000 euro di reddito. Mentre il 53,19% dichiara redditi inferiori a questa soglia e versa solo il 6,31% dell’intera Irpef. Nell’Italia della disparità fiscale solo il 5,45% dei contribuenti dichiara di guadagnare oltre i 55.000 euro e paga il 41,7% delle imposte complessive.
Il rapporto sottolinea come la spesa assistenziale e sanitaria gravi quindi solo su una parte minoritaria della popolazione. «Il 75,80% dei contribuenti – si legge – dichiara redditi da zero fino a 29.000 euro, corrispondendo solo il 24,43% di tutta l’Irpef, un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa sanitaria».
«Una grande parte di italiani – spiega il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla – paga così poche imposte (o non ne paga affatto) da risultare totalmente a carico della collettività. E’ il ritratto di un Paese con una forte redistribuzione principalmente a carico dei redditi sopra i 35.000 euro lordi l’anno, che peraltro non beneficiano, se non marginalmente, di bonus, sgravi e agevolazioni, in assenza di controlli su una spesa assistenziale che cresce a tassi doppi rispetto a quella previdenziale».
L’indagine indica come nel 2022 l’Italia abbia complessivamente destinato alla spesa per protezione sociale – pensioni, sanità e assistenza – 559,513 miliardi di euro, vale a dire oltre la metà di quella pubblica totale (il 51,65%). Rispetto al 2012, «la spesa per il welfare – si legge nel rapporto – è aumentata di 127,5 miliardi strutturali (+29,4%): un aumento ascrivibile soprattutto al capitolo assistenza che sotto la spinta delle promesse di una politica in perenne campagna elettorale e gonfiata anche dall’inefficienza di una macchina organizzativa tuttora priva di un’anagrafe centrale delle prestazioni, è cresciuta del 126,3%, a fronte del solo 17% della spesa previdenziale».
Nel complesso, se per Inps e Inail si può parlare di equilibrio, vale a dire di un sistema pensionistico e assicurativo in grado di autosostenersi con i contributi versati da lavoratori e imprese, lo stesso non può dirsi per assistenza (circa 157 miliardi di euro), sanità (intorno ai 131 miliardi di euro) e welfare degli enti locali (circa 13 miliardi di euro) che, in assenza di contributi di scopo, devono appunto essere sostenuti attingendo alla fiscalità generale. Un totale – si spiega – di oltre 300 miliardi di euro per il quale sono occorse pressoché tutte le imposte dirette Irpef, addizionali, Ires, Irap e anche 23,77 miliardi di imposte indirette, in primis l’Iva.
«Non è corretto – sottolinea Brambilla – descrivere l’Italia come un Paese oppresso dalle tasse, poiché i contribuenti su cui grava il carico fiscale e, di riflesso, anche il finanziamento del sistema di protezione sociale, non è che uno sparuto 24,20% di contribuenti con redditi dai 29.000 euro in su, i quali da soli corrispondono il 75,57% di tutta l’Irpef». Per costoro sarebbe necessario un rapido intervento di riduzione delle tasse da spalmare sulla parte maggioritaria dei cittadini che non le pagano.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica dei versamenti Irpef, l’analisi dei redditi evidenzia che il Nord contribuisce per il 57,2% del totale, il Centro con il 21,8% del totale, mentre il Sud con il 20,97% del gettito complessivo. «Una situazione di disequilibrio, si legge, rimasta oltretutto stabile nel tempo che trova conferma anche analizzando le singole Regioni: con poco meno di 10 milioni di abitanti, la Lombardia versa 43,4 miliardi di Irpef, vale a dire un importo maggiore dell’intero Mezzogiorno, che ne conta almeno il doppio».
La soluzione, secondo Itinerari previdenziali, è composta da molti fattori: in primis in una «profonda revisione dell’Isee», ma anche nella riduzione del numero dei bonus, nell’evitare misure come la “flat tax” e nell’effettuare controlli più stringenti su chi non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi o non ha mai versato contributi e tasse.
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