Giampaolino: “non si può più rimandare la revisione della spesa pubblica per alleggerire la tassazione sui contribuenti italiani, superiore di 3 punti oltre la media europea”
La Relazione sul rendiconto 2012 dello stato italiano ha offerto il destro al presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino per fare un accorato appello al Governo affinché provveda al più presto alla razionalizzazione della spesa pubblica. Detto in altre parole, è necessario tagliare, come farebbe ogni famiglia di buon senso, le spese quando le entrate non sono più sufficienti a coprirle.
Per Giampaolino non si può più continuare a chiedere nuovi sforzi ai contribuenti già abbondantemente spossati: servono tagli al corpaccione dello Stato e di tanti enti locali che hanno dimostrato di non essere in grado di gestire in modo morigerato la spesa pubblica. Il presidente della magistratura contabile sottolinea “l’esaurimento dei margini offerti dal ricorso ai tagli lineari” e i “guasti” degli stessi sui servizi. “La crisi economica che stiamo attraversando – osserva Giampaolino – pone nuove pressanti esigenze di gestione della finanza pubblica” che deve essere affiancata ad un processo di revisione della spesa e degli apparati pubblici. La revisione della spesa va “ripensata in funzione di un obiettivo di più lungo periodo, che non può non investire la questione della misura complessiva dell’intervento pubblico nell’economia”. Secondo Giampaolino è necessario agire con “modalità di indagine in grado di scavare all’interno delle singole amministrazioni, così da predisporre le condizioni per effettuare interventi di correzione e di regolazione mirate”.
La Corte dei Conti certifica che la pressione fiscale italiana, passata dal 42,6 al 44%, è “superiore di 3 punti alla media” dei paesi dell’area euro ma “la possibilità di una riduzione non è facile da coniugare con il rispetto degli obiettivi europei che permangono severi”.
Secondo la presidente di Sezione della Corte dei Conti Rita Arrigoni, “il giusto peso che torna ad essere assegnato alle necessità della crescita e dell’occupazione, specie giovanile, non deve tramutarsi in una disinvolta rinuncia ai progressi fatti in questi anni” e “la libertà di aliquota per le addizionali regionali e comunali dell’Irpef ha portato significative differenze territoriali nel prelievo a carico di famiglie e imprese”.
Salvatore Nottola, Pg della Corte dei Conti, ha poi sottolineato come le manovre di correzione dei conti pubblici del 2012 hanno migliorato parzialmente alcuni saldi, ma “hanno generato anche effetti depressivi su un’economia, come quella italiana, già in difficoltà e in forte recessione. Le prospettive future non appaiono migliori”. Insomma, la bocciatura dell’azione economica e politica della squadra del governo dei tecnici capeggiata da Mario Monti è ormai ufficiale.
Secondo i magistrati contabili, parte degli oneri gravanti sul bilancio dello Stato sono ascrivibili anche alla violazione dei diritti dei cittadini, che comportano contenziosi con la Corte di Strasburgo che condanna puntualmente l’Italia ad indennizzi per 120 milioni di euro, con effetti pesanti sul bilancio.
Al premier Letta tocca ora tradurre in pratica l’appello di Giampaolino, agendo senza se e senza ma sul taglio della spesa pubblica, che nell’ultimo decennio è cresciuta di 200 miliardi di euro senza apparenti benefici. Anche gli studi delle commissioni insediate durante la negativa esperienza del Governo Monti avevano evidenziato come tagliare la spesa pubblica fosse possibile, ad iniziare dai 270 miliardi di euro che oggi costituiscono il bacino delle deduzioni concesse dallo Stato per i motivi più disparati, spesso senza una reale utilità pubblica che non sia quella di un qualche potentato. Ecco, più che a piagnucolare le casse vuote, Letta farebbe bene ad affondare la mannaia nella greppia della spesa pubblica per liberare risorse a favore dello sviluppo e dell’abbassamento immediato della pressione fiscale, unico modo per rimettere in moto il sistema della produzione e del consumo, specie se vuole essere veramente ricordato come un giovane riformatore, visto che di democristiani cresciuti alla scuola del rinvio l’Italia ne ha già avuti tanti, forse troppi.