Conti pubblici: deficit di 181 miliardi in 2019-2022

Secondo Unimpresa sull’ammontare complessivo del debito pubblico lo Stato dovrà spendere 301 miliardi d’interessi. Pucci: «ci indebitiamo ogni anno di più per coprire gli sprechi pubblici». 

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Prosegue l’analisi dei numeri contenuti nel Documento di economia e finanza (Def) da parte di Unimpresa, da cui emerge come i conti pubblici siano massacrati dagli interessi sul debito.

Il deficit complessivo del periodo 2019-2022 sarà di oltre 181 miliardi di euro e sul disavanzo pesano soprattutto i 301 miliardi di interessi che, nel quadriennio, saranno pagati ai sottoscrittori di Bot e Btp. Senza il costo per il servizio del debito, nelle casse dello Stato ci sarebbe stato un tesoretto di quasi 130 miliardi corrispondente all’avanzo primario. Invece, il deficit 2019 sarà di 60 miliardi, mentre l’avanzo primario si attesterà a 14,6 miliardi e la spesa per interessi sarà di oltre 72 miliardi.

«Se si riuscissero ad aggredire gli sprechi nei conti pubblici, e di sacche d’ineficienza ce ne sono tante, potremmo progressivamente e in tempi non troppo lunghi risolvere il problema – afferma il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci -: ci indebitiamo ogni anno per pagare chi ci fa credito per coprire i nostri sprechi».

Secondo l’analisi del Centro studi di Unimpresa, nei periodo 2019-2022 il disavanzo complessivo sui conti pubblici sarà di 181,7 miliardi di euro: il rosso fisso è provato dalla spesa per interessi che, nel quadriennio in esame, si attesterà, complessivamente, a 301,8 miliardi. Senza la zavorra degli interessi, si accumulerebbe un importante tesoretto: l’avanzo primario (ovvero il saldo tra entrate e uscite nelle casse dello Stato al netto della spesa per interessi) è infatti, per il quattro anni oggetto di analisi, di 129,9 miliardi.

Nel dettaglio, nel 2019 il deficit sarà di 60,1 miliardi, la spesa per interessi di 72,2 miliardi e l’avanzo primario di 14,6 miliardi. Nel 2020, il deficit sarà in calo a 45,2 miliardi, la spesa per interessi in lieve aumento a 72,9 miliardi e l’avanzo primario più che raddoppiato a quota 30,3 miliardi. Nel 2021, il deficit sarà in linea con l’anno precedente a 40,8 miliardi, la spesa per interessi in forte crescita a 77,9 miliardi e l’avanzo primario in salita a 39,3 miliardi. Nel 2022, il deficit calerà significativamente a 35,5 miliardi, la spesa per interessi proseguirà ad aumentare a quota 78,7 miliardi e l’avanzo primario s’impennerà a 45,6 miliardi.

Intanto, dall’azione economica del governo emergono altre “perle” sempre contenute nel Def. Il reddito di cittadinanza, emblema del governo del cambiamento a trazione pentastellata, avrà un impatto negativo sul Pil del Paese, in quanto è previsto che abbia un moltiplicatore della spesa pubblica negativo pari a 0,6: si spende 100 per far rientrare 60. Ne va meglio l’altra gamba, quella di “quota 100” emblema della parte leghista: sempre dal Def emerge come la propagandata leva di nuove assunzioni derivanti dal pensionamento sarà del tutto inesistente, visto che è messa nero su bianco la stima negativa sulla nuova occupazione.

Altra “perla” indotta da un’azione di governo quanto mai traccheggiante è l’andamento del differenziale del costo del finanziamento del debito Italia sui mercati internazionali, da mesi sopra quota 250, livello che contribuisce a bruciare parte dei risparmi di famiglie ed imprese italiane che causa costi maggiori per il finanziamento e la caduta delle quotazioni dei titoli pubblici sul mercato secondario pari a circa il 20%, che si trasforma in una perdita secca in conto capitale se qualcuno vende i titoli prima della loro scadenza.

Poi, c’è al questione della “quadratura” dei conti pubblici per il 2019: oltre al discostamento della soglia del debito pubblico dal previsto 2,04% all’attuale 2,4% derivante dalla mancata crescita economica del Paese, c’è pure il tema dei 18 miliardi previsti dalle privatizzazioni che fino ad oggi risultano a zero. Se tutto va bene, da qui alla fine dell’anno se ne faranno forse per un controvalore di un miliardo di euro, facendo nascere un nuovo buco nei conti pubblici di 17 miliardi che vanno ad aggiungersi ai 24 miliardi circa derivanti dalla necessità di disinnescare le clausole di salvaguardia relative all’aumento dell’Iva dal 22 al 25,3% e dal 10 al 13%. Insomma, una quarantina di miliardi che al momento non è dato sapere dove il duo Di Maio-Salvini li troveranno.

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