Sulle concessioni autostradali, moderno residuo di un feudalesimo infrastrutturale che si trascina da decenni, arriva la svolta, forse. Il governo Meloni, nell’ambito della legge annuale sulla concorrenza, ha predisposto un disegno di legge che ora dovrà svolgere tutto l’iter per arrivare all’approvazione, che cambia le regole del gioco.
La novità più saliente è che una parte dei pedaggi autostradali andrà nelle casse dello Stato anziché in quelle delle società concessionarie: per tutte quelle in scadenza, a partire dal 2025, sarà attivato un nuovo modello tariffario, già sperimentato in 4 concessioni (Ativa, Satap A21, Salt e A10 Fiori), che distingue la tariffa in 3 componenti, di cui due di competenza del concessionario e una, il cosiddetto extragettito, destinata al concedente e i cui proventi saranno utilizzati per realizzare gli investimenti, senza incrementare i pedaggi. Il nuovo modello prevede anche che le future concessioni non potranno superare i 15 anni.
Tra le grandi arterie interessate dalla riforma delle concessioni autostradali non ci saranno le concessioni regionali, come Pedemontana Veneta, per la quale nei giorni scorsi era stata ventilata l’ipotesi che il debito acceso dalla regione Veneto per la sua realizzazione potesse essere scaricato sul bilancio statale.
Per Assoutenti è positiva la norma sulle concessioni autostradali «che potrebbero contenere gli aumenti dei pedaggi. Oltre a limitare le tariffe, però, servirebbe introdurre sistemi per rimborsare automaticamente e immediatamente gli automobilisti per i disagi derivanti dai cantieri infiniti e dagli eterni lavori in corso che, oltre ad allungare i tempi di percorrenza in autostrada, creano difficoltà notevoli alla circolazione e aumentano il rischio di incidenti», dichiara il presidente Gabriele Melluso.
La norma arriva nel mezzo dell’iter per il rinnovo della concessione – scaduta da ben 6 anni – dell’autostrada del Brennero, i cui azionisti di maggioranza – la regione Trentino Alto Adige e le due province di Trento e di Bolzano – hanno chiesto il rinnovo per altri 50 anni con il ricorso alla finanza di progetto.
Bisognerà vedere se la norma proposta dal ministero in tema di rinnovo di concessioni autostradali interesserà o meno anche l’Autobrennero. Se non lo fosse – grazie alle pressioni della maggioranza della regione dove nella coalizione governa la Lega Salvini – la stessa riforma nazionale partirebbe zoppa, anche perché cozzerebbe frontalmente sia con la durata prevista delle nuove concessioni – 15 anni rispetto ai 50 richiesti, che sono già un deciso aumento rispetto ai 30 anni ordinari – che con il metodo di rinnovo, visto che per le concessioni scadute – e quella di Autobrennero lo è da ben 6 anni – non si potrà fare ricorso alla finanza di progetto, disposizione che ha finalità antilelusive del divieto di proroga delle concessioni e che avvantaggerebbe il concessionario uscente. Sistema che, guarda caso, è centrale nel tentativo dei soci di Autobrennero per incassare il rinnovo cinquantennale del feudo autostradale dell’A22.
Si vedrà se Salvini avrà la forza e la linearità sufficiente a tenere fede alle proprie proposte o se si renderà protagonista dell’ennesima deroga clientelare a favore di un proprio sodale di partito, contribuendo così anche ad accendere i fari dell’occhiuta Commissione europea sull’effettivo rispetto della direttiva Bolkestein che in fatto di rinnovo di concessioni di beni pubblici impone la gara pubblica, gara che gli attuali feudatari dell’A22 vogliono evitare come la peste.
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