Autonomia, Zaia e Fontana contro la minestrina riscaldata ammannita dal premier Conte e M5s

La Lega sta per perdere una delle sue battaglie storiche. Se l’autonomia vedrà la luce nella versione cara ai pentastellati, meglio buttare all’aria definitivamente la stramba maggioranza e andare al voto. 

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Dall’ennesima riunione a palazzo Chigi per discutere della maggiore autonomia chiesta da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ancora un nulla di fatto o, meglio, un passo indietro su una delle bandiere poste da Veneto e Lombardia, ovvero la gestione locale della scuola, con la possibilità di assumere in loco gli insegnanti. Una richiesta rispedita al mittente dal premier Giuseppe Conte, che ha fatto propria la richiesta del M5s e di parte del mondo sindacale.

Nella prima traccia di autonomismo differenziato scaturita dal vertice, cui non ha partecipato il leader della Lega, Matteo Salvini, è evidente la prevalenza della linea dei Cinque stelle rispetto a quella della Lega e delle regioni che l’hanno chiesta. E a farne le spese è stata la scuola, ambito dove i pentastellati sono da sempre contrari all’applicazione del regionalismo a questo settore. E’ lo stesso premier Giuseppe Conte che si intesta in qualche modo la decisione sottolineando i passi avanti fatti sull’impianto del provvedimento. «Io tengo molto al fatto che il modello della scuola non può essere frammentato – dice Conte al termine dell’incontro, durato circa un’ora – e non possiamo pensare che l’Autonomia differenziata significhi frammentare questo modello. Probabilmente i governatori interessati non avranno tutto quello che hanno chiesto, ma ci sta, è un negoziato tra Stato e Regioni».

Esulta il viceministro all’Istruzione, Salvatore Giuliano (M5S): «dopo mesi abbiamo garantito l’unità del sistema di istruzione: non abbiamo ceduto cose che avrebbero potuto compromettere l’unità del Paese». Un’unità che, di fatto, è inesistente come hanno dimostrato i test Invalsi di solo qualche giorno fa evidenziando la frattura tra un Nord dove la scuola è a livelli di eccellenza, si contrapponga un Sud dove l’analfabetismo e il deficit in matematica sono drammaticamente evidenti.

Da quanto è emerso, è stato soppresso l’articolo che prevedeva l’assunzione diretta dei docenti su base regionale, come chiedeva la Lega. Non ci saranno quindi concorsi regionali, né differenze di stipendi tra i docenti e il personale della scuola delle varie regioni (con il risultato che i docenti del Nord, dove la vita costa decisamente di più che al Sud, saranno di fatto più poveri dei loro colleghi meridionali), né tra i programmi.

La bocciatura ha mandato su tutte le furie i governatori che più tengono al regionalismo differenziato, quelli del Veneto, Luca Zaia e della Lombardia, Attilio Fontana, che sulle competenze scolastiche avevano fatto uno dei rispettivi cavalli di battaglia per arrivare ad avere sun sistema formativo migliore e in linea con le attese del mondo del lavoro. «Resto basito – dice Zaia – ci sentiamo presi in giro da Conte, non da Salvini». E Fontana rincara minacciando di non firmare il provvedimento: «mi ritengo assolutamente insoddisfatto dell’esito del vertice di oggi. Abbiamo perso un anno in chiacchiere. Aspettiamo di vedere il testo definitivo, ma se le premesse sono queste, da parte mia non ci sarà alcuna disponibilità a sottoscrivere l’intesa».

Zaia critica direttamente Conte: «pensavo che il Presidente del Consiglio fosse così autorevole da chiudere la partita, ma non ho ancora ben capito se l’autorevolezza serva a chiudere o invece a prolungare indefinitamente l’approvazione dell’intesa sull’autonomia differenziata. Sono trascorsi 636 giorni dal referendum – ricorda Zaia – più di un anno dalla formazione di questo governo, ricordo che non c’è neppure l’alibi di dire che le Regioni non abbiano fatto il lavoro che spettava loro. Di fronte a tutto questo non posso non affermare che questa è una autentica presa in giro e che Conte non può prestarsi a procrastinare ancora. Siamo stanchi anche – sottolinea il governatore veneto – di sentire dire a Conte che lui sarà il garante dell’unità nazionale, un refrain ormai stucchevole». Zaia ribadisce inoltre che «se sono davvero convinti che tutto quel che facciamo è contro l’unità del Paese, vadano in Parlamento e modifichino la Costituzione. Siamo in un Paese in cui per alcuni applicare l’articolo 116 terzo comma della Carta costituzionale, la legge fondamentale dello Stato, significa minare le basi della Repubblica. E’ allucinante! Non siamo più disposti ad aspettare, vediamo dichiarazioni che non c’entrano nulla con l’intesa sull’autonomia. A nome dei 2.328.000 Veneti che hanno votato per il “Sì” all’autonomia dico che siamo stanchi, stanchissimi. La misura è colma».

E rivolgendosi ai demolitori pentastellati dell’autonomia, Zaia b quanto detto dal suo collega Fontana: «ritengo che i grillini abbiano venduto la pelle dell’orso prima di averlo catturato. L’intesa sull’autonomia va siglata fra Governo e Regione. Se sarà vera autonomia firmo, se no la rimando al mittente».

Da parte sua, il governatore lombardo Fontana sottolinea come «sono deluso anche da quello che ha detto il premier Conte, perché ha ricominciato a fare quelle affermazioni di carattere generale legate alla frammentazione del Paese, quindi a quel vecchio slogan, dimostrando di non voler arrivare a una soluzione concreta. Mi sento profondamente amareggiato – ha proseguito -. Credo che questo comportamento sia irrispettoso dei cittadini Lombardi e Veneti che hanno espresso direttamente con un referendum la loro volontà, di quelli emiliani, che attraverso il loro presidente hanno avanzato la loro richiesta e di tutti gli altri italiani che, soprattutto al Sud, chiedono cambiamento e buona politica, non sprechi e ruberie. Sono sconcertato – ha evidenziato Fontana – che si facciano delle proposte per cui non si possa trattenere sul nostro territorio neppure le risorse risparmiate con un’amministrazione virtuosa. Così, noi che chiediamo di poter dimostrare capacità ed efficienza, verremmo penalizzati. Questa è una chiara dimostrazione che non si voglia giungere ad un accordo. Anche sul tema dell’istruzione – ha concluso Fontana – si è dimostrato di far prevalere logiche di stampo sindacal-corporativo, alle esigenze dei nostri studenti, che hanno diritto ad avere una continuità per tutto il percorso scolastico, senza trovarsi, come accade, con docenti sempre differenti o che spesso arrivano dopo mesi dall’inizio dell’anno. Non interessa il bene dei nostri ragazzi, non interessa il bene del nostro Paese. Si vogliono continuare a difendere questi centri di potere che vogliono mantenere in vita l’Italia dell’inefficienza».

Nel bailamme s’inserisce il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, salito per ultimo sul treno dell’autonomia soprattutto per evitare che il tema fosse appannaggio esclusivo della Lega e le cui richieste sono decisamente minori rispetto a quelle di Lombardia e Veneto: «mi pare che il Governo stia riconoscendo, nei fatti, che il nostro progetto può diventare il punto di equilibrio per tutti. Che l’istruzione sia e debba rimanere un servizio nazionale, con insegnanti assunti e stipendiati dallo Stato, ma che le Regioni possano e debbano concorrere pienamente alla programmazione dei fabbisogni sia per gli organici che per l’edilizia scolastica, è esattamente la nostra proposta».

In tutta la questione, ad uscire decisamente ridimensionata è la figura del ministro alle Autonomie, la leghista vicentina Erika Stefani, la cui capacità di fare breccia nel muro pentastellato si sta rivelando sempre più ininfluente: «non accetteremo nessun compromesso. Su sanità, ambiente, sviluppo economico sono state accolte le richieste delle regioni. Una svolta per il territorio, per i cittadini e per le imprese. L’autonomia funziona però se c’è quella finanziaria. Non accetteremo nessun compromesso. Chi riesce a garantire servizi efficienti riuscendo a risparmiare dovrà gestire come meglio crede queste risorse. Un’autonomia che non mira all’efficienza al taglio degli sprechi non è un’autonomia. Premiare e stimolare l’efficienza e punire gli incapaci, sono questi gli obiettivi della Lega per far crescere il Paese». Parole che fanno il solletico a Lugi Di Maio e allegra combriccola.

Se la Lega non riesce a mantenere fede alle promesse fatte al suo bacino elettorale d’elezione, inutile tirarla per le lunghe, sperando in un ulteriore autologoramento dei M5s: meglio andare il prima possibile alle elezioni. Attendere troppo può essere rischioso per Matteo Salvini che potrebbe trovarsi a dover fronteggiare un malcontento montante tra la base leghista e i milioni di elettori che l’hanno votato che potrebbe indirizzarsi anche verso altri lidi elettorali.

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