Autonomia differenziata: la Consulta cancella alcune disposizioni perché illegittime

Possibili frizioni nella maggioranza del governo Meloni, dove finisce indirettamente sul binario morto anche il premierato.

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La Corte costituzionale ha ritenuto «non fondata» la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata, considerando invece «illegittime specifiche disposizioni» dello stesso testo legislativo.

La Corte, in particolare, ha ravvisato «l’incostituzionalità» di alcuni profili della legge, in primis «la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà».

E ancora: «il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) – osserva Palazzo della Consulta – priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento», nonché la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei Lep», il «ricorso alla procedura prevista dalla legge di bilancio per il 2023 per la determinazione dei Lep con Dpcm sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i Lep».

La decisione della Corte sull’autonomia differenziata cassa poi la «possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che, dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite, non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni», la «facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica» e «l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a Statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali». Con queste ultime che perdono il treno proceduralmente agevolato per arricchire le proprie competenze, dovendo ricorrere ad una modifica dei rispettivi statuti con procedura costituzionale, con la doppia lettura in entrambi i rami del parlamento a tre mesi di distanza l’uno dall’altro approvata a maggioranza assoluta dei relativi componenti.

La Corte ha poi interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge, affermando che «l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo», che la «legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata» e che «la limitazione della necessità di predeterminare i Lep ad alcune materie (distinzione tra “materie Lep” e “materie-no Lep”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-Lep”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Inoltre, «l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso», ha stabilito la Consulta, sottolineando che «la clausola di invarianza finanziaria richiede anche che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari».

Di fatto la sentenza della Corte costituzionale gambizza la legge Calderoli attesa da anni dalle regioni ordinarie del Nord Italia, che sono intervenute nel giudizio della Corte “ad opponendum”. Ma la sentenza potrebbe avere effetti anche sugli equilibri del governo Meloni, visto che la riforma dell’autonomia differenziata doveva andare a braccetto con quella del premierato, su cui punta tutto il premier Giorgia Meloni.

Di fatto lo scenario che ora si apre più che a modifiche della legge, potrebbe essere sfruttare fino in fondo le procedure autoapplicative definite dal Titolo V della Costituzione nella riforma approvata dalle sinistre nel 2001, poi rimasto lettera morta e che solo il referendum di Lombardia e Veneto del 2017 aveva attivato con il Governo Gentiloni, con le prime intese tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

 

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