Inizia la maratona fiscale di settembre: tra versamenti che sono stati prorogati in questi ultimi mesi a causa del Coronavirus e gli adempimenti ordinari previsti dal calendario, da mercoledì 16 fino a fine mese gli italiani dovranno districarsi tra una vera e propria giungla fiscale costituita, secondo la Cgia, da ben 270 scadenze.
A pesare, in particolar modo, l’Iva, i contributi previdenziali, l’Ires, l’Irap e il saldo/acconto Irpef (queste ultime per coloro i quali hanno optato per la rateizzazione), etc. La giornata più difficile sarà il prossimo 16 settembre quando il fisco chiederà ai contribuenti la bellezza di 187 versamenti e la presentazione di 2 comunicazioni e di 3 adempimenti.
«Da mercoledì 16 settembre – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – scatterà una vera e propria maratona fiscale. Per 15 giorni non avremo tregua e le imprese, in particolar modo quelle di piccola dimensione, saranno sottoposte ad un forte prelievo. Il groviglio di scadenze tese dall’erario non ci lascerà scampo e in attesa della semplificazione fiscale e del tanto agognato taglio delle tasse, l’unica certezza su cui potremo contare è che ancora una volta dovremo mettere mano pesantemente al portafoglio». Drenando ulteriore liquidità ad aziende e professionisti già alle prese con una contanti all’osso.
Tra i 187 versamenti da onorare nella maratona fiscale entro mercoledì 16 settembre, 13 sono quelli che sono stati sospesi in questi ultimi mesi a seguito della crisi sanitaria provocata dal Covid. Si ricorda che con il decreto di “Agosto” (in fase di conversione di legge) è prevista una ulteriore parziale proroga per queste 13 scadenze secondo le seguenti modalità: il 50% del dovuto si può versare in un’unica soluzione entro il 16 settembre o in 4 rate mensili di pari importo (di cui la prima il 16 di settembre); il restante 50% del dovuto si può rateizzare al massimo in 24 rate mensili di pari importo, con il versamento della prima rata a partire dal 16 gennaio 2021.
L’Ufficio studi della Cgia ha inoltre ricostruito la serie storica della pressione fiscale registrata in Italia. Negli ultimi 40 anni quest’ultima è salita di 11 punti percentuali. Se nel 1980 era al 31,4%, nel 2019 si è attestata al 42,4%. In questo periodo la punta massima è stata raggiunta 2013, quando il prelievo ha raggiunto la soglia del 43,4%. Livello raggiunto a seguito dell’inasprimento della tassazione imposto dal governo Monti che ha reintrodotto la tassa sulla prima casa, ha aumentato i contributi Inps sui lavoratori autonomi, ha inasprito il prelievo fiscale sugli immobili strumentali, ha ritoccato all’insù il bollo auto, etc.
Per il 2020, secondo la Cgia, è estremamente difficile prevedere a quanto ammonterà la pressione fiscale. Molto probabilmente è destinata ad aumentare, non tanto a causa di un incremento delle entrate tributarie, ma per la forte contrazione del Pil che, rispetto al 2019, dovrebbe ridursi del 10%, visto che la pressione fiscale è il risultato del rapporto tra le entrate fiscali e il prodotto interno lordo. A chiarire l’interrogativo ci penserà la Nota di Aggiornamento del DEF che sarà presentata alle Camere nelle prossime settimane.
Oltre alle tasse, evidenzia la Cgia, in Italia il problema è anche il peso dell’oppressione fiscale che ostacola l’attività quotidiana delle imprese: 270 scadenze in 15 giorni previste in questo mese sono decisamente troppe. Al netto delle tariffe applicate dai commercialisti per la tenuta della contabilità aziendale, secondo un’indagine realizzata periodicamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, il costo della burocrazia fiscale in capo agli imprenditori (obblighi, dichiarativi, certificazione dei corrispettivi, tenuta dei registri, etc.), ammonta a circa 3 miliardi di euro all’anno. Un costo che penalizza soprattutto i piccoli imprenditori che, a differenza delle medie e grandi aziende, non dispongono di strutture amministrative interne all’azienda in grado di occuparsi di questa situazione.
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