La riforma previdenziale che milioni di cittadini italiani si aspettavano quest’anno alla scadenza di “quota 100” per evitare il formarsi dello scalone di cinque anni da 62 a 67 anni di età dal 1° gennaio 2022 non si sarà.
Nella bozza della legge di bilancio 2022 giunta al Senato per iniziare l’iter che porterà alla sua approvazione entro la fine dell’anno, quanto alla riforma previdenziale sono presenti soltanto alcune piccole modifiche e non quella riforma strutturale e duratura che molti auspicavano.
La tattica adottata da Draghi da quando in febbraio si è a insediato a Palazzo Chigi è stata quella di procrastinare la problematica previdenziale confidando nel fatto che la legge “Fornero” tanto cara all’Europa è in pieno vigore, arrivare all’autunno inoltrato e inserire pochi provvedimenti nella legge di bilancio 2022 per poi, eventualmente, parlare di riforma previdenziale nell’anno 2002.
Questo gioco voluto da Draghi è perfettamente riuscito. Le organizzazioni sindacali sono state ricevute non più di un paio di volte, non si è mai entrati nel vivo della questione, non ci sono mai state dichiarazioni formali su tale ambito e si è sempre anteposta qualche altra problematica come il Covid-19 o le politiche attive sul lavoro rispetto al tema previdenziale.
I sindacati sono stati completamente neutralizzati ed è necessario fare una riflessione su cosa sono diventateoramai le forze sociali. Da tempo hanno perso il contatto reale con i lavoratori creando una distanza difficile da ricomporre. Hanno scelto, in pratica, di essere dei protagonisti attivi della vita politica della nazione, barattando la lotta per la difesa dei lavoratori in cambio di posti nei consigli d’amministrazione degli enti pubblici e dei fondi pensione, di gestione dei patronati e dei CAAF, al punto di non rappresentare realmente più i lavoratori. Non fanno più nuovi iscritti e i loro cospicui numeri sono rappresentati principalmente da pensionati.
Per mesi non hanno supportato la loro bella proposta previdenziale con manifestazioni e scioperi e, nei pochi incontri che hanno avuto con il premier, i sindacati sono stati sempre troppo accondiscendenti. Non è un caso che non è stato mai proclamato uno sciopero generale limitandosi a delle manifestazioni territoriali.
Lo spinoso problema dello scalone di cinque anni alla scadenza di “quota 100” che non sarà rinnovata, nonostante le affermazioni di un Matteo Salvini che aveva affermato che se ciò fosse successo avrebbe bloccato le autostrade mettendo i Tir di traverso, confermandolo come un mero parolaio inconcludente, è stato tranquillamente superato dall’istituzione di “quota 102” (64 anni di età oltre a 38 anni di contributi), con buona pace dei lavoratorisoprattutto quelli nati nell’anno 1960 che dovranno necessariamente aspettare altri due anni per accedere al pensionamento.
Ci sarà poi un’implementazione dei mestieri che potranno accedere all’Ape Sociale, l’estensione dei contratti di espansione anche per aziende con 50 unità di personale e infine la creazione di un fondo di 550 milioni in tre anni per permettere il pensionamento di 62 anni nelle piccole aziende in crisi. Per il resto, tutto rimandato all’anno 2022 con la promessa fatta ai sindacati di iniziare con degli incontri già nel prossimo mese di dicembre e continuarla con assiduità nei primi mesi del 2022 per inserire il tutto nel documento di economia e finanza da presentare nel mese di aprile prossimo.
Draghi però, potrebbe all’inizio 2022, dopo aver fatto approvare la legge di bilancio, prendere la strada del Quirinale: allora ci potrebbe essere anche la possibilità, se il nuovo Premier non sarà in grado di tenere unita questa strana, inconcludente maggioranza, di mandare gli italiani al voto con conseguenze imprevedibili per la riforma previdenziale e con la possibilità reale di spedirla verso un binario morto. E la “Fornero” che risorge a nuova vitacome un’araba fenice.
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