Peccato che a Rovereto le istituzioni cittadine non abbiano celebrato solennemente il ricordo anche in un luogo pubblico, ma solo in Chiesa
Di Paolo Farinati
Dopo lunghi vergognosi decenni di silenzio e d’ipocrisie, nel 2005 il Parlamento italiano ha sancito che il 10 febbraio diventasse il “Giorno del Ricordo” delle migliaia di morti assassinati nelle foibe istriane. C’è chi stima 10-15.000, altri addirittura 25.000 persone vilmente uccise e buttate, anche legate, a marcire giù nelle forre carsiche per molte decine di metri.
Il tutto tra il 1943 e il 1945. La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, riducono alla fame e poi gettano nelle foibe migliaia di persone. Le considerano tutte “nemici del popolo”. La violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Lo racconta Graziano Udovisi, l’unica vittima del terrore titino che riuscì ad uscire vivo da una foiba. È una carneficina che testimonia l’odio politico – ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.
Nel febbraio del 1947, l’Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda Guerra mondiale: l’Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano nemmeno in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora: non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS, in cui si è realizzato il sogno del socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito è, del resto, la ragione per cui il PCI non affronta il dramma, appena concluso, degli infoibati. Ma non è solo il PCI a lasciar cadere l’argomento nel disinteresse.
Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci, la stessa classe dirigente democristiana considera i profughi dalmati “cittadini di serie B”, e non approfondisce la tragedia delle foibe. I neofascisti, d’altra parte, non si mostrano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della Seconda Guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre sono state sotto l’occupazione nazista, in pratica sono state annesse al Reich tedesco.
Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica avvolge la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane. È una ferita in gran parte ancora aperta. Dal 10 febbraio 2005 è auspicabilmente iniziata un’elaborazione più giusta e una presa di coscienza più diffusa di una delle pagine più angoscianti della nostra storia.
Lo scorso sabato 10 febbraio anche a Rovereto e Trento è stata ricordata questa immane tragedia. Ero presente con mio figlio in Largo delle Vittime delle Foibe, nei pressi di via Tartarotti a Rovereto, per assistere alla deposizione della corona da parte del nostro Sindaco Francesco Valduga e di altre autorità, tra cui cito meritevolmente il presidente dell’ANPI del Trentino, prof. Mario Cossali. Ammirevoli, come sempre, i nostri alpini e commovente il suono universale del loro Silenzio. Mi aspettavo, come altri presenti, un discorso del nostro primo cittadino, ma mi è stato subito riferito che questo era già stato pronunciato dopo la SS Messa all’interno della Chiesa di Santa Caterina. Non me ne voglia il nostro Sindaco Valduga, ma avrei preferito che lui esprimesse il suo sentito pensiero di ricordo e di condanna in un luogo civico, aperto a tutti i cittadini, ai diversi pensieri politici e ai vari credo religiosi. Ovvero lì, proprio dove è stata posta la targa che ricorda le migliaia di morti infoibati. Nulla contro la Chiesa cattolica e la celebrazione di una SS Messa, ci mancherebbe, ma una memoria più condivisa e una ferma condanna civile andavano fatti, senza alcuna paura, all’aperto e nel cuore della nostra Rovereto.
Era un modo, a mio modesto parere, più efficace per affermare anche a Rovereto la forza dei nostri valori, della nostra libertà, della nostra democrazia.