Luglio 2013, rallenta il calo delle vendite di auto in Italia. Calo del 9,23 nei primi sette mesi dell’anno

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autoparco produzione cayenne 1Federauto: “non si avvertono segnali di ripresa. Servono provvedimenti del Governo per invertire la tendenza”

Nuova flessione del mercato di auto nuove a luglio, che si è chiuso con una nuova perdita dell’1,92% rispetto allo stesso periodo del 2012, per un totale di 107.514 pezzi immatricolati. “Nonostante un forte ricorso ai kilometri zero, il mercato dell’auto ci manda un unico segnale: stallo totale, sfiducia tra i consumatori, mancanza di iniziative in grado di favorire un’inversione di tendenza” commenta lapidario Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta i concessionari di tutti marchi commercializzati in Italia sui dati di immatricolazione di autovetture nuove a luglio diffusi questa sera dal Ministero dei Trasporti. Un calo più o meno sensibile, a seconda dei marchi che consolida al ribasso il calo fatto registrare nei primi sette mesi dell’anno, con una media di -9,23% d’immatricolazioni in meno rispetto ad un già magro 2012.

Con Filippo Pavan bernacchi il punto della situazione e le prospettive a breve di un mercato che non dà segni di ripresa.

Presidente, come valuta la situazione attuale del mercato automobilistico?

La grave situazione di crisi del mercato automobilistico italiano sta compromettendo il futuro dell’automotive, che costituisce la principale filiera industriale, commerciale e dei servizi nel nostro Paese. Si tratta di un complesso di vari settori che rappresenta in termini di fatturato l’11,4% del PIL, il 16,6% di contribuzione al gettito fiscale nazionale e occupa, con l’indotto allargato, 1.200.000 addetti. Purtroppo gli indicatori del settore continuano ad essere negativi, con pesanti riflessi in termini di riduzione del gettito fiscale, chiusura di aziende e licenziamenti, ricorso massiccio ai contratti di solidarietà, cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga, disfacimento di realtà imprenditoriali che non generano più valore, ricchezza e lavoro.

Quali le risposte della politica?

Gli ultimi Governi invece di darci una mano si sono adoperati per sfasciare la nostra filiera, e forse l’intera economia, distruggendo aziende e bruciando centinaia di migliaia di posti di lavoro. Basti ricordare che nel biennio 2011-2012 il settore è stato sottoposto a incrementi reiterati di accise sui carburanti e di imposta RC Auto, a cui si sono aggiunti la maggiorazione dell’IPT, il doppio intervento sulle auto di lusso mediante l’introduzione prima e il raddoppio poi del “superbollo” per le auto prestazionali. Tali manovre hanno comportato un appesantimento fiscale sul settore pari a 8,7 miliardi di euro. Inoltre, nel corso del 2012, il regime fiscale delle auto aziendali è stato rivisto portando le deduzioni dal 40% al 27,5%. Tali deduzioni sono state ulteriormente compresse al 20%, nonostante avessimo documentato che in Europa questi automezzi si possono dedurre al 100%. Alla luce dell’andamento del mercato, il Paese, nel solo 2012, ha perso circa 3 miliardi di euro dal settore automotive, ascrivibili principalmente al minor gettito Iva. Per ottenere questo risultato non servivano professori universitari ma bastava uno studente fuori corso, o forse un ragazzino delle elementari.

E il trend di mercato?

Immagino che a questo punto sia meglio far parlare i numeri, che smentiscono qualsiasi analista voglia fare dell’ottimismo gratuito, come se bastasse asserire che le cose vanno bene per indurre il consumatore a scelte diverse. Quanto alle previsioni per il 2013, i primi mesi dell’anno segnano una flessione per le autovetture, rispetto allo stesso periodo del 2012, di circa il -10%. Flessione che per i veicoli commerciali e industriali si attesta, rispettivamente, attorno al -20% ed al -15%. Ma il problema di cui nessuno parla non è quello che i mercati flettono, ma che sono paragonati a un 2012 dove già si era al di sotto della soglia di sopravvivenza della filiera. Anche se eguagliassimo il 2012 il problema rimarrebbe in tutta la sua interezza. Per quanto riguarda il mercato più importante in termini di volumi, quello delle autovetture, si prevede nel 2013 di consuntivare un totale di 1.250.000 unità. Un mercato italiano simile a quello del 1969. Se i dati verranno confermati retrocederemmo di 44 anni! Inoltre vi è un altro dato a testimoniare che l’Italia ha sbagliato tutte le scelte politiche sull’automotive ed è quello del confronto europeo: infatti nel 2012 (annus horribilis dell’automobile italiana) siamo stati il fanalino di coda in Europa. In altre parole, c’è modo e modo di affrontare la crisi e non solo quello di aumentare le tasse e distruggere l’economia reale. Anche se qualche mese del secondo semestre 2013 segnasse un leggero incremento rispetto al 2012, noi avremmo bisogno di crescite stabili e sensibili, a doppia cifra, o non cambierà nulla.

Avete già avuto dei contatti con il nuovo Governo?

Certo. Stiamo illustrando, in una serie di incontri, il disastro del settore, quello che significa per il sistema-paese e presentando le nostre proposte per il rilancio. Perché gli autoveicoli si candidano a essere il motore della ripresa. I nostri numeri, i fatturati, gli occupati e le tasse che versiamo, testimoniano che siamo in pole position per un Governo che volesse adottare delle scelte strategiche importanti. Recentemente non siamo andati a un incontro con un’altra associazione della nostra filiera perché non riteniamo che sia il momento di fare ‘delle proposte’ ma ‘delle proposte giuste’. Preciso che, pur rispettando le idee di tutti, noi dobbiamo rappresentare quelle dei concessionari, recentemente interpellati anche attraverso un sondaggio. Parlare ad esempio di credito d’imposta o deducibilità sulle auto acquistate dai privati non ha senso. Noi concessionari, che siamo gli unici ad essere in front line con i clienti, riteniamo che questo sia addirittura un autogol. Il credito d’imposta, per esempio, è stato introdotto per le ristrutturazioni edilizie per far emergere il nero, ma nessuno compra un climatizzatore o una caldaia efficiente per lo sgravio fiscale. Come pure nessuno decide di morire perché le spese funebri sono deducibili. E quindi non si vendono più prodotti e non si fanno più funerali. Però chi acquista chiede la fattura all’idraulico, all’elettricista o all’agenzia di pompe funebri per poter recuperare fiscalmente. E qui lo Stato ha ottenuto il suo vero obiettivo: far emergere il sommerso. Riteniamo che nessun privato acquisterebbe un’auto per questa motivazione e che ‘inciamperebbe’ solamente nel provvedimento. In questo modo lo Stato sprecherebbe risorse pubbliche e il mercato non verrebbe ampliato. Esprimere maggiori volumi è il vero obiettivo anche per lo Stato, che nel 2012 ha perso 3 miliardi di gettito dal nostro settore. Volete un esempio di soldi sprecati? Gli ultimi ecoincentivi 2012 sono durati meno di 1 giorno per i privati e giacciono largamente inutilizzati per le aziende. Milioni di euro buttati dalla finestra senza nessun effetto. E se non vengono eliminati subito butteremo altri soldi pubblici anche nel 2013 e 2014. Un controsenso tutto italiano dove non si eliminano gli sprechi, non si contiene la spesa pubblica, ma si aumentano solo le tasse. Tasse, tasse e ancora tasse. Però una cosa è chiara: piuttosto di misure sbagliate è meglio lasciare tutto com’è.

Per stimolare l’acquisto dei privati cosa avete pensato? Ai vecchi ecoincentivi?

I vecchi ecoincentivi, tanto vituperati, sono ancora utilizzati in molti paesi del mondo e danno una certezza: funzionano. Lo dice la storia, anche la nostra. Noi li avremmo voluti triennali, scalari, dove il primo anno il cliente avrebbe avuto beneficio 100, il secondo 80 e il terzo 60. In questo modo saremmo usciti gradualmente da questa ‘droga’. Ora abbiamo rottamato quest’idea barattandola con un’Iva agevolata per i privati. E quindi, se uno rottamasse una vettura con più di dieci anni, avrebbe diritto a un’Iva ridotta. Faccio un esempio con dati di fantasia: se un cliente acquistasse un autoveicolo a basso impatto ambientale avrebbe il 10% di Iva il primo anno, il 12% il secondo, il 14% il terzo e normale dal IV anno. Siamo certi che con questo provvedimento potremmo alzare il mercato di circa 200.000 unità all’anno. In questo modo lo Stato potrebbe introitare circa 600 milioni di euro aggiuntivi e dovrebbe investirne solo una parte. Non solo, così sosterremmo il mondo del lavoro, risparmieremmo in ammortizzatori sociali e disporremmo di un parco circolante più ecologico e più sicuro. Vantaggi per tutti. E, badate bene, questi stimoli alla domanda non vanno nelle tasche dei concessionari, che beneficerebbero solo indirettamente dagli aumenti di fatturato, come pure lo Stato e i costruttori.

E per le Partite Iva?

La struttura che potrebbe sostenere la domanda, in alternativa ai sempreverdi ecoincentivi sul modello del 2010, è come per i privati quella dell’Iva agevolata. Questo è il vero strumento per dare impulso al mercato e alzarlo ragionevolmente di altre 100.000 unità all’anno. In alternativa si potrebbe ipotizzare un credito o detrazione di imposta in sede di dichiarazione dei redditi. Ma in questo particolare momento storico ed economico crediamo che i clienti, privati e aziende, preferiscano tutto e subito, magari portando finalmente l’Italia in Europa quanto a trattamento fiscale degli autoveicoli aziendali. Sono le cose semplici e immediate che funzionano e non meccanismi farraginosi e difficili da spiegare.

E sulle manutenzioni e riparazioni?

Per contrastare il fenomeno di evasione/elusione fiscale soprattutto da parte delle reti indipendenti, sarebbe molto efficace il meccanismo del credito o detrazione d’imposta in sede di dichiarazione dei redditi da parte delle persone fisiche. E’ questo il vero obiettivo di provvedimenti di questo tipo.

Cosa pensa alle recenti dichiarazioni di Sergio Marchionne?

Trovo tanta ipocrisia. E’ indiscutibile che se un imprenditore dovesse investire o rinnovare degli investimenti e avesse a disposizione l’intero scacchiere mondiale (dato che siamo in un mercato globale), difficilmente lo farebbe nell’Italia attuale. Sindacalmente abbiamo dei bellissimi contratti per i lavoratori a tempo indeterminato, peccato che la disoccupazione sia al 12% e sia destinata a salire. La burocrazia la conosciamo, i tempi dei processi pure. Il mondo politico sembra non farcela a trovare una via d’uscita, troppo occupato com’è in questioni di partito, di campanile, di personalismi. Poi c’è la pressione fiscale alle stelle rispetto non solo ai paesi emergenti, ma anche a quelli limitrofi come Austria, ex-Jugoslavia, Romania… E infatti, da tempo, gli imprenditori che possono chiudono in Italia e aprono in quei paesi dove la manodopera costa meno, la burocrazia srotola il tappeto rosso a chi vuole investire e la pressione fiscale è accettabile. Marchionne ci dice una cosa incontrovertibile: aldilà della Fiat, il nostro Paese sta perdendo la guerra sul mercato globale e se non si prenderanno provvedimenti urgenti e straordinari sarà una catastrofe.

Volendo riassumere…

L’Italia è in grave pericolo. Pericolo acuito da una classe politica che sembra incapace di fornire risposte, di prendere decisioni difficili che possano riscrivere il destino della Nazione. Bisogna ridurre subito la pressione fiscale su famiglie e imprese. Le tasse vanno tolte o abbassate, senza vararne di alternative (giochetto molto di moda). Bisogna poi incentivare le aziende private a investire e a tenere aperto in questo contesto. Sono le aziende che forniscono occupazione, non dimentichiamolo mai. Inoltre bisogna stimolare i consumi interni con iniziative corrette, calibrate e condivise dalle parti in campo. Per cui ben venga la proposta del Ministro Zanonato di aprire un tavolo per fare il focus sul settore auto.