Concessionari in rivolta contro Stellantis: «le auto elettriche non si vendono»

Artusi: «il flop dell’auto elettrica si scarica pesantemente sui concessionari e sul loro equilibrio finanziario».

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Cresce giorno dopo giorno la reazione contro l’elettrificazione della mobilità imposta dalla Commissione europea: ora tocca ai concessionari in rivolta contro le politiche dei costruttori a sostegno dell’auto elettrica.

I concessionari di Stellantis chiedono all’Europa di spostare dal 2025 al 2027 l’entrata in vigore dei limiti Ue sulle emissioni auto, che dall’anno prossimo scenderanno a 95 g/CO2/km. Una posizione analoga a quella espressa dall’Acea, di cui fanno parte Volkswagen e Renault, ma non di Stellantis.

Per niente in sintonia, invece, con l’idea, l’amministratore delegato del gruppo italofrancese Carlos Tavares, secondo il quale le regole a gioco iniziato non si cambiano e pensare ora di modificare le norme europee sulle emissioni di CO2 «sarebbe surreale. Tutti conoscono le regole da molto tempo, tutti hanno avuto il tempo di prepararsi e quindi adesso si corre» ha detto nei giorni scorsi Tavares, che l’11 ottobre sarà in Commissione commercio e turismo della Camera per un’audizione.

In una lettera inviata al presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, i concessionari in rivolta affermano che «in qualità di distributori, siamo in contatto quotidiano con clienti finali che spesso rifiutano le auto elettriche a causa di preoccupazioni su prezzo, autonomia e accessibilità. Ciò ci pone in una posizione contraria a quella del produttore che rappresentiamo, che rimane ottimista circa il rispetto di queste severe normative Ue. Tuttavia, dal nostro punto di vista, è chiaro che il settore non è ancora pronto a raggiungere il volume necessario di vendite di veicoli elettrici. Questa crescente divergenza tra obiettivi normativi, prontezza del mercato e aspettative del produttore è motivo di preoccupazione. Non è stata quindi una sorpresa quando la maggior parte dei produttori europei, tramite Acea, ha chiesto un rinvio di questi obiettivi, una proposta che b».

«I concessionari di autoveicoli sono sottoposti ad una pressione eccessiva la cui origine è il Green Deal Automotive che, con tutti i limiti di una “decarbonizzazionemisurata al tubo di scarico (TTW), vincola i costruttori a produrre veicoli poco graditi dal nostro mercato» ha affermato Massimo Artusi, presidente di Federauto, intervenendo alla Conferenza di Sistema Confcommercio 2024.

«La normativa europea in materia di Green Deal Automotive – ha continuato Artusi –prevedendo pesantissime multe per i costruttori fuori target nelle emissioni di CO2, induce i produttori a forzare la fabbricazione di autoveicoli elettrici che il mercato non assorbe. Se tali norme non saranno modificate entro il 2024 – come chiedono alcuni Paesi membri a cominciare dall’Italia – inevitabilmente i costruttori finiranno per trasferire l’onere di smaltire prodotti difficili da commercializzare sui concessionari i quali, pur avendo oggi un buon equilibrio finanziario, potrebbero non essere più in grado di svolgere la naturale funzione di mercato».

«I dati sulle immatricolazioni, peraltro – ha aggiunto il presidente di Federauto -, distorcono la realtà effettiva del mercato: più del 50% delle auto a batteria (EV) sono immatricolate, obtorto collo, dai concessionari con ingenti oneri finanziari di stock e di obsolescenza causata dal prolungato stop dell’invenduto, problemi a cui si aggiunge l’inquietante notizia dell’assegnazione d’ufficio ad alcuni Dealer – con successiva fatturazione – di veicoli non ordinati e non abbinati ad un cliente finale».

«È prevedibile – ha continuato Artusi – che i produttori, per non incorrere nelle pesanti sanzioni previste dal 2025, finiranno per ridurre la produzione di vetture con motore a combustione (ICE), contingentando la vendita dei modelli che, di fatto, continuano ad essere i più richiesti dal mercato e provocando un inevitabile calo dei volumi di attività delle concessionarie, mettendole potenzialmente in crisi, con un prevedibile e indesiderato effetto di ulteriore obsolescenza del parco ed il rischio di gravissime ripercussioni sulla sicurezza stradale e sull’inquinamento».

E, secondo Federauto, a soffrire da questo scenario sarebbe anche il bilancio di uno stato come quello italiano che sull’auto basa una fetta consistente delle sue entrate: «da un minor numero di vendite di autoveicoli, subirebbe un forte calo del gettito non solo dovuto alla riduzione delle entrate provenienti dalla tassazione diretta e indiretta sulle immatricolazioni di auto nuove, ma anche per la difficoltà di rintracciare i margini tassabili delle aziende multinazionali in favore di paesi, anche europei, con fiscalità più favorevole».

 

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