Gli scienziati hanno ingegnerizzato un enzima batterico (Ideonella sakaiensis 201-F6) incrementando la sua capacità di degradare i rifiuti plastici.
Il mondo è sempre più afflitto dal problema del corretto smaltimento della plastica, di cui solo una minima parte viene opportunamente riciclata, mentre il grosso finisce o negli inceneritori oppure sepolto nelle discariche o disperso in mare fino a formare veri e propri atolli galleggianti nel mezzo del Pacifico.
Gli scienziati dell’Università di Portsmouth in collaborazione con i colleghi National Renewable Energy Laboratory (NREL), hanno creato in laboratorio una nuova “arma” contro i rifiuti polimerici di origine fossile: un enzima mangia plastica scopeto quasi per caso durante una serie di manipolazioni indirizzata verso altri obiettivi.
Il gruppo di ricercatori stava studiando la struttura cristallina del “PETase”, un enzima naturale appartenente a un batterio, scoperto di recente in Giappone, che prolifera tra i rifiuti plastici. Il metabolismo di questo microorganismo (battezzato con il nome di “Ideonella sakaiensis 201-F6”) si è evoluto in pochissimi anni in maniera tale da riuscire a digerire il PET (polietilene tereftalato, il materiale con cui si producono le bottiglie d’acqua, ad esempio) per ottenere il carbonio di cui ha bisogno. Di fatto, il batterio ha adattato la sua alimentazione all’elemento più frequente del suo ambiente: la plastica. Prima della scoperta di questo batterio, gli unici organismi di cui si conosceva la capacità di degradare polimeri plastici erano i funghi.
Per “digierire” il PET e scomporlo in molecole più semplici e più rispettose dell’ambiente, il batterio impiega solo due enzimi: il “PETase”, che degrada la plastica in un composto chiamato “MHET” e il “MHETase” che riduce quest’ultimo in acido tereftalico. È a questo punto che s’inserisce il lavoro dei ricercatori statunitensi. I ricercatori volevano studiare la struttura dell’enzima “mangia plastica” per comprenderne l’evoluzione magari per cercare di potenziarlo. Intervenendo sulla sua struttura durante l’analisi, sono riusciti involontariamente a migliorarne l’efficacia.
Secondo John McGeehan dell’Università di Portsmouth, «sebbene il miglioramento sia
modesto, questa scoperta inaspettata suggerisce che c’è ancora spazio per migliorare ulteriormente questi enzimi, avvicinandoci a una soluzione di riciclaggio per la montagna di plastica in continua crescita». L’enzima “mangia plastica” ingegnerizzato ha l’ulteriore vantaggio di poter degradare non solo il PET, ma anche il polietilene furandicarbossilato (PEF). Il team sta ora lavorando per continuare a perfezionare la molecola e renderla in grado di digerire altri rifiuti plastici.