Una ricerca del Cibio dell’Università di Trento condotto dal gruppo di ricerca guidato da Anna Cereseto individua una molecola “meccanica” che opera negli organismi malati senza effetti collaterali
Le terapie genetiche, sviluppate a partire dalla fine degli anni Ottanta grazie all’avvento dell’ingegneria genetica, sono state salutate come una vera rivoluzione per sconfiggere molte patologie tuttora incurabili, come le malattie di natura ereditaria (ad esempio fibrosi cistica, distrofia muscolare, emofilia o diabete di tipo 1), malattie che dipendono da fattori ambientali (come il cancro, le malattie cardiovascolari e quelle neurodegenerative) ma anche traumi, infezioni e ischemie.
Le terapie geniche permettono di inserire nelle cellule malate di un paziente un gene che permette di curarlo. Un vero e proprio salto di qualità, perché grazie a vettori molto efficienti (virus resi non pericolosi) è possibile correggere anche cellule difficili da raggiungere. Ma l’entusiasmo della comunità scientifica attorno alle potenzialità delle terapie geniche si è raffreddato in questi ultimi anni quando si è scoperto che queste possono avere reazioni ed effetti collaterali non controllabili.
L’obiettivo dei gruppi di ricerca di tutto il mondo è mettere a punto metodi più sicuri ed efficienti per le terapie geniche, per “tagliare e ricucire il genoma” senza lasciare tracce e soprattutto danni genomici. La sfida parte da una molecola – CRISPR/Cas9 – in grado di comportarsi come un vero e proprio “bisturi genomico”, capace di tagliare via dal DNA dei pazienti il gene responsabile della patologia. Il problema è che la permanenza incontrollata di questa molecola attiva nell’organismo può creare “errori” non prevedibili. Occorre disinnescarla una volta portata a termine l’azione curativa. Ma come fare?
Una soluzione arriva dal Centro per la Biologia integrata (Cibio) dell’Università di Trento ed è stata pubblicata su Nature Communications. «Sul virus vettore che usiamo per trasportare la molecola in loco abbiamo aggiunto anche due molecole di RNA – spiega Anna Cereseto, biologa del Cibio, prima firmataria dell’articolo -. La prima ha la funzione di localizzare il punto esatto del DNA dove rilasciare la proteina “curativa” CRISPR/Cas9. L’altra invece ha come obiettivo la proteina stessa. Quando la proteina effettua il taglio sul DNA, la sua azione si rivolge così automaticamente anche su se stessa, annientandola. Un po’ come se entrasse in gioco un effetto specchio. Il risultato è che la proteina “curativa” rimane in loco solo il tempo necessario per svolgere la sua azione e poi si dissolve. Abbiamo così dato origine a un circuito autolimitante, in grado di funzionare in modo efficiente e senza complicazioni. A Trento – aggiunge Cereseto – stiamo testando questo nuovo approccio in particolare sulla cura della fibrosi cistica e dell’atrofia muscolare spinale (SMA) ma le possibili applicazioni su altre malattie, in primis i tumori, sono numerose e interessanti».
Lo studio pubblicato da Nature Communications è frutto di un grande gioco di squadra tutto interno al Cibio. Alla realizzazione della ricerca, oltre all’unità di ricerca guidata da Anna Cereseto e composta da Gianluca Petris e Antonio Casini, hanno partecipato anche i biologi Francesca Demichelis e Luciano Conti. Il sistema nato nei laboratori del Cibio è stato subito brevettato (progetto SLiCES) per le sue grandi potenzialità in ambito applicativo in quanto potrebbe offrire una risposta per superare definitivamente i dubbi legati all’introduzione massiccia della terapia genica nel trattamento di molte malattie. Le opportunità di possibile sviluppo non si fermano qui, perché come si è visto negli ultimi anni, le scoperte nell’ambito del “genome editing” incidono in vari settori: oltre alla medicina, con la chirurgia genetica e lo sviluppo di farmaci, sono numerose le applicazioni in biologia per lo studio delle varianti genetiche, e nelle biotecnologie “verdi” per lo sviluppo di nuovi materiali biologici, il miglioramento della produzione dei cibi e la produzione di combustibili.