Sono poco meno di 1 miliardo le bottiglie di vino vendute nei negozi e nella grande distribuzione italiana nel 2023, il 3,1% in meno rispetto all’anno precedente per un valore di 3 miliardi di euro secondo la rilevazione dell’Osservatorio Uiv-Ismea su base Ismea–Nielsen-IQ, evidenziando le difficoltà di un anno complicato. Se da un lato ha amplificato le nuove tendenze al consumo post-Covid, dall’altro ha determinato più di una sofferenza per un comparto ancora alle prese con rincari non ancora assorbiti e ben oltre la timida crescita registrata in valore (+2,6%).
I vini fermi fissano i volumi a -3,6% (con i rossi a -4,9%) e registrano l’undicesimo trimestre consecutivo con il segno meno. Gli spumanti, pur con un azzeramento della crescita dei prezzi nell’ultimo trimestre, rimangono in linea rispetto ai volumi venduti nell’anno precedente, ma solo grazie ai “low cost” Charmat non Prosecco (+7,1%), senza i quali la tipologia virerebbe in negativo del 2%.
L’Osservatorio Uiv-Ismea mette a fuoco l’evoluzione dei consumi di vino degli italiani dal 2019 a oggi, che riflette solo in parte la congiuntura, essendo dettati da modifiche strutturali di una domanda mai così fluida. Rispetto a 5 anni fa, riporta l’Osservatorio, il calo dei consumi sfiora l’8%, ossia 100 milioni di bottiglie in buona parte a base di vini fermi (-11%) e liquorosi (-19%).
Il vino Dop, con -2%, è la tipologia che ha ceduto meno, con bianchi (+3%) e rosati (+17%). Fanno peggio gli Igt (-13%) ma soprattutto i vini comuni, con -17% e l’equivalente di 64 milioni di bottiglie in meno. Sul fronte degli spumanti in 5 anni guadagnano quasi il 19%, oggi a 139 milioni di bottiglie vendute. Merito del mondo Prosecco, che sale del 30%, ma anche degli Charmat non Prosecco, a +42% favorito da un minor potere di acquisto
Secondo l’Osservatorio Uiv-Ismea, l’alta gamma dei rossi, di gran lunga più presente presso i canali Ho.Re.Ca., è la tipologia più in difficoltà nei consumi casalinghi con un calo del 15%. I rossi cedono il 6%, quasi 3 volte più della media, tra i consumi di prodotti a denominazione, il 19% tra gli Igt, ma il record negativo spetta ai vini comuni, con -22%. Poche le grandi Dop e Igt che tengono (Dop Montepulciano d’Abruzzo a -2%, Chianti a -3, Rubicone Igt nella tipologia Sangiovese a +7%), tanti i cali in doppia cifra, e spesso oltre il 20% per vini a marchio come la famiglia dei Lambruschi, i pugliesi (Salento Igt, Puglia Igt), i siciliani con Nero d’Avola Dop e Terre Siciliane Igt), il Cannonau della Sardegna, i piemontesi (Barbera e Dolcetto Doc), i veneti (Igt Cabernet e Merlot), i lombardi, con le Doc Oltrepò Pavese Barbera e Bonarda.
Si sgonfiano, infine, gli acquisti di vino sul canale del commercio elettronico che durante i confinamenti pandemici avevano avuto una forte impennata: oggi valgono il triplo rispetto al 2019, ma da 2 anni a questa parte sono progressivamente in calo fino a perdere il 21% sul picco del 2021. Un calo fisiologico per un canale sull’ottovolante che pure ha attuato un significativo ribasso dei listini. Chi ordina online lo fa ricercando ancora di più la qualità, il prezzo medio al litro è superiore del 61% rispetto agli acquisti in corsia, compra più Dop e Igt (il 75% del totale acquisti dei vini fermi) ma soprattutto ordina più spumanti, che online incidono per il 22% degli acquisti, contro una media del 13%. Una nicchia, quella dell’e-commerce di vino, che rappresenta appena l’1,5% del totale acquisti in Gdo e retail, su cui molti player fanno affidamento per il futuro.
Secondo Federvini, il comparto enologico evidenzia un profilo strategico nazionale sotto quello economico, perché vini, spiriti e aceti nel loro insieme generano sul territorio nazionale un valore aggiunto, inclusivo anche delle componenti indirette e indotte, pari a 20,5 miliardi di euro, corrispondenti a circa l’1,5% del Pil nazionale. Di questi, 4,9 miliardi derivano dall’attività di produzione, 9 miliardi dall’effetto indiretto (fornitori e domanda generata da loro volta) e 6,6 miliardi all’effetto indotto generato dall’incremento di reddito percepito da tutti i soggetti coinvolti.
Lo studio di filiera realizzato da Nomisma per Federvini prende in considerazione oltre 2.300 imprese (38.000 considerando anche quelle agricole di trasformazione), 21,5 miliardi di euro di fatturato diretto, 10 miliardi di euro di export. Sotto il profilo occupazionale, a fronte di 81.000 lavoratori diretti nei tre settori, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 5,8 se ne attivano oltre 460.000 nell’intero sistema economico nazionale che corrispondono a quasi il 2% del numero complessivo di lavoratori in Italia. Un universo dove ora preoccupa la recente crisi del Mar Rosso e l’indagine antidumping sui distillati europei da parte della Cina.
Per il presidente di Federvini, Micaela Pallini, «la difesa di questo patrimonio del “Made in Italy” è una responsabilità tanto degli imprenditori quanto delle istituzioni».
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