Quali sono le prospettive per l’economia italiana appena rientrata in recessione? Il Centro Studi Confindustria (CSC) tentaun’analisi complessiva di cosa è lecito attendersi nel 2019 tra il calo del commercio globale e la debolezza degli scambi mondiali: -1,6% a novembre e ordini esteri del PMI globale sotto la soglia di 50 a dicembre. La forte incertezza globale è alimentata da vari fattori: trend protezionistico, tensioni USA-Cina e in altre aree (Iran, Venezuela), incognite sulla Brexit.
La produzione industriale italiana ha recuperato di poco a dicembre, dopo il tonfo di novembre, registrando nel IV trimestre 2018 una flessione di -0,5%. Il calo, diffuso all’Europa (specie Germania), in Italia è più marcato per i beni intermedi. Ciò ha pesato sul PIL a fine anno (-0,2%).
I dati negativi in Italia nella seconda metà del 2018, aritmeticamente, contano molto nel calcolare la crescita annua del PIL nel 2019: il “trascinamento”, la variazione che si avrebbe con un profilo piatto quest’anno, è -0,2%. E la dinamica dell’economia italiana a inizio 2019 sarà debole: il PMI manifatturiero a gennaio 2019 cade molto sotto soglia 50, nei servizi è poco sopra, la produzione è stimata quasi piatta. Anche se il PIL risalisse dal II trimestre, è alta la probabilità di una crescita annua poco sopra lo zero. E questo causa un bel problema per i conti pubblici costruiti su una crescita dell’1%.
Le vendite all’estero sono diminuite dello 0,4% in novembre, quelle extra-UE del 5,6% in dicembre; la variazione nel IV trimestre è positiva solo grazie al rimbalzo di ottobre. L’export è stato frenato specie dal calo verso Turchia, Russia, Cina, Giappone, OPEC, Mercosur. Stagnanti le prospettive a inizio 2019, secondo gli indicatori qualitativi sugli ordini manifatturieri esteri. Pesa la frenata della produzione tedesca, che attiva la domanda di semilavorati italiani.
La fiducia delle imprese è in calo anche a gennaio, la produzione di beni strumentali scende (-1,3% acquisito nel IV trimestre), peggiorano le valutazioni delle imprese sulle condizioni per investire: ciò segnala prospettive fosche per gli investimenti a inizio 2019. Per i consumi quadro meno cupo: la fiducia delle famiglie recupera a gennaio parte del calo di fine 2018, la produzione di beni di consumo cresce (+1,4% acquisito nel IV), le vendite al dettaglio risalgono (+0,7% a novembre); male, invece, le vendite di auto e gli ordini interni per i produttori di beni di consumo.
Nell’ultimo quarto 2018 il numero degli occupati in Italia è rimasto sui livelli del III trimestre (+12.000 unità), quando si era ridotto (-60.000). L’occupazione a tempo determinato ha smesso di crescere (+0,1%, dal +2,6% medio nei primi 3 trimestri). Ciò riflette soprattutto il fisiologico aumento delle trasformazioni (da determinato a indeterminato, dato il boom del primo nel 2017 e inizio 2018) e la maggiore reattività del lavoro temporaneo al ciclo, che è in indebolimento.
La manovra di bilancio, dopo il confronto con la UE, peggiora il deficit 2019 di 11,5 miliardi (da 22 originari): meno risorse per reddito di cittadinanza, “quota 100”, investimenti; la spinta al PIL presunta è ora di +0,4% (da +0,6). A gennaio il rendimento del BTP decennale è sceso a 2,79%, da 3,41% di novembre, lo spread sul Bund a 261 punti (da 302). La Borsa è in risalita, ma poco sopra i bassi livelli di novembre. Le indagini mostrano una stretta sul credito alle imprese nel III e IV trimestre.
L’economia dell’area euro continua ad espandersi a ritmi moderati (+0,2% nel IV trimestre), come indica il PMI in flessione verso la soglia di 50 a gennaio. I consumi beneficiano di incremento di occupazione e discesa della disoccupazione (7,9% a dicembre), ma sono frenati da una fiducia che resta bassa. Prosegue invece il ciclo degli investimenti, per la necessità di espandere la capacità produttiva visto l’alto grado di utilizzo degli impianti. Resta debole, soprattutto, la domanda estera.
Terminati gli acquisti netti di titoli, per tenere invariato lo stock accumulato Francoforte continuerà a reinvestire le somme incassate da quelli in scadenza: nel 2019, 29 miliardi di titoli pubblici italiani. D’altronde, il petrolio meno caro (60 dollari a barile a gennaio, 81 in ottobre) ridurrà l’inflazione nell’area (ora a 1,6%, la misura core appena a 1,0%). Resta necessario, dunque, lo stimolo monetario, ma il freno ai tassi a lungo termine sarà minore: il costo del credito potrebbe crescere.
La crescita USA è robusta: +321.000 occupati a dicembre e disoccupazione che resta bassa (3,9%). Però, il parziale “shutdown” delle amministrazioni pubbliche, dal 22 dicembre, è il più lungo della storia, con circa 800.000 impiegati senza stipendio: il possibile impatto è di -0,5/1,0% sul PIL in termini annui, per il calo di fiducia e consumi. Le attese dei mercati sul tasso FED, alzato a dicembre a 2,25-2,50%, si sono appiattite (8% la probabilità di un rialzo nel 2019), visti i rischi di frenata e l’inflazione all’obiettivo (1,9%).
Da fine 2018 l’economia cinese ha dato segni di rallentamento, con l’indice PMI manifatturiero sceso ben sotto soglia 50 a gennaio. Calano l’export e l’import, gli investimenti sono bloccati dai piani di riequilibrio della capacità produttiva in eccesso, attraverso restrizioni sul credito. Il governo da metà 2018 ha avviato politiche di stimolo, ma deve fare i conti con l’alto debito privato.
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