L’andamento su base annuale segna la crescita dell’1%. Preoccupa l’andamento ondivago. In calo la produzione alimentare. La politica del Governo Renzi non riesce ad incidere sulla crescita
Economia ancora fortemente in chiaroscuro, esaminando i dati forniti da Istat relativi alla produzione industriale nel mese di dicembre 2015 e al raffronto complessivo su tutto l’anno 2015 rispetto al 2014.
Se il risultato complessivo, anno su anno, segnala la crescita dell’1%, secondo il Centro studi di Confindustria (Csc), a gennaio la produzione industriale sale dello 0,9% rispetto al dicembre scorso, mese in cui l’Istat ha registrato un -0,7% rispetto al mese precedente. La stima è del Csc che imputa il dato negativo di dicembre, inferiore a quanto previsto da Confindustria (+0,2%) e alle stime di consenso (+0,3%) e che si è mosso in direzione opposta rispetto a quanto segnalavano gli indicatori qualitativi, tutti aumentati (fiducia Istatt, Pmi, Markit), ad un effetto calendario. «Il 7 dicembre, lunedì, – scrivono gli economisti di viale dell’Astronomia – era possibile un ponte e i dati sui consumi elettrici dicono che l’attività produttiva ne è stata negativamente influenzata. Un giorno di lavoro in meno nel mese comporta circa 3 punti percentuali sulla variazione rispetto a un anno prima; ma i programmi statistici di destagionalizzazione correggono solo per il numero di giornate lavorative del calendario ufficiale e non per i giorni effettivamente lavorati».
Se nel quarto trimestre 2015 si è avuto un arretramento dello 0,1% sul terzo (dopo +0,2% nel terzo sul secondo) nel 2015 l’attività è aumentata dell’1,7% (+1,0% a parità di giornate lavorative), stima ancora il Csc. La variazione acquisita nel primo trimestre, dunque, è di +0,3% e pur in un contesto di minore ottimismo tra le imprese, «gli indicatori qualitativi anticipatori per il manifatturiero puntano a una dinamica positiva della produzione». Secondo i direttori degli acquisti (indagine Pmi Markit) gli ordini manifatturieri in gennaio sono cresciuti a un «ritmo robusto» (indice a 54,4 da 58,0, massimo da quasi cinque anni) grazie al «rafforzamento della domanda interna» visto che quella estera «ha continuato ad aumentare a un ritmo meno vivace». Anche le attese di produzione di fonte Istat «segnalano un andamento positivo», concludono gli economisti di Viale dell’Astronomia che però avvertono: «l’ampliamento del gap tra indicatori qualitativi e dati di produzione effettiva suggerisce, tuttavia, che la dinamica dell’attività rilevata dall’Istat potrebbe essere meno vivace di quanto atteso».
Quanto ai vari comparti industriali, vola la produzione di autoveicoli: nel 2015 ha registrato un +43,7% (dato grezzo) e un +42,5% (corretto), un incremento record, l’aumento maggiore mai registrato dall’inizio delle serie storiche (1990). L’indice destagionalizzato segna una variazione congiunturale positiva nel comparto dei beni di consumo (+0,8%). Diminuiscono, invece, i beni intermedi (-1,8%), i beni strumentali (-1,3%) e l’energia (-0,8%). In termini tendenziali gli indici corretti per gli effetti di calendario segnano, a dicembre 2015, un aumento nel comparto dell’energia (+0,4%) e diminuzioni in quelli dei beni intermedi (-2,6%), dei beni strumentali (-1,6%), e, in misura più lieve, dei beni di consumo (-0,1%). Tra i settori di attività economica, quelli che registrano la maggiore crescita tendenziale sono la fabbricazione di mezzi di trasporto (+9,2%), la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+4,6%) e la fabbricazione di prodotti chimici (+1,1%). Le diminuzioni maggiori si rilevano nei settori della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti, (-7,4%), dell’attività estrattiva (-5,5%) e della fabbricazione di macchinari e attrezzature (-4,3%).
Confcommercio esprime preoccupazione per i dati comunicati da Istat: «la riduzione dell’indice della produzione industriale di dicembre, che segue quella di novembre, certifica le perduranti difficoltà del sistema economico ad avviarsi su un sentiero di crescita robusta. Nel corso del 2015 la produzione industriale ha mostrato oscillazioni continue, incapace di trovare una direzione ben definita. Il contributo dei servizi, pure positivo, non sembra ancora in grado di generare una crescita tale da diffondersi a tutti i settori e tutti i territori. La strada per il 2016, un anno di vere e proprie sfide decisive per la crescita e l’aggiustamento dei conti pubblici, appare in salita».
In controtendenza all’aumento generale dell’industria nel 2015 si riduce la produzione alimentare “Made in Italy” dello 0,6% sotto il pressing delle importazioni dall’estero. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi alla produzione industriale nel 2015. «Si cominciano a far sentire nell’agroalimentare gli effetti della delocalizzazione che per prima ha colpito la produzione agricola con l’acquisto di grano, latte e carni dall’estero poi i marchi storici del “Made in Italy” finiti in mani straniere e adesso interessa anche gli stabilimenti industriali con pesanti effetti sull’economia e l’occupazione», ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare l’esigenza di «cambiare verso con politiche di valorizzazione del vero “Made in Italy” dal campo alla tavola».
La mancanza di trasparenza sulle informazioni in etichetta permette di spacciare come italiani prodotti che non lo sono e favorisce le importazioni “low cost” ma con minori garanzie qualitative e sanitarie che fanno chiudere le imprese nazionali. «Quasi la metà della spesa – continua Coldiretti – è anonima per colpa della contraddittoria normativa comunitaria che obbliga a indicare la provenienza nelle etichette per la carne bovina, ma non per i prosciutti, per l’ortofrutta fresca ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele ma non per il latte o per la pasta. Il risultato è che – conclude Coldiretti – gli inganni del finto “Made in Italy” sugli scaffali riguardano un pacco di pasta su tre, due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta come pure la metà delle mozzarelle».