Prezzi agroalimentari cresciuti del 21,1% in tre anni per via di clima e guerre

Indagine della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) alla prima conferenza internazionale di medicina ambientale.

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La Dieta mediterranea, patrimonio immateriale Unesco per la corretta alimentazione, con consumo moderato di vino.

Cambiamenti climatici e conflitti bellici hanno effetti sempre più pesanti sull’economia internazionale, e determinano una sensibile riduzione delle produzioni agricole, una impennata dei prezzi agroalimentari al dettaglio e un incremento della condizione di insicurezza alimentare nelle popolazioni.

Le conseguenze di tale quadro si riflettono a cascata sulle quotazioni internazionali dei prodotti agricoli e, quindi, sui prezzi agroalimentari al dettaglio: in Italia tra il 2022 e il 2024 i listini dei generi alimentari sono rincarati del 21,1%. Nel biennio 2022-2023 farina e cereali hanno subito rincari complessivi del 25,9%, la pasta del 30,7%, il riso del 43,6%, l’olio di semi del 45,8%.

Secondo la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) che ha analizzato il fenomeno nel corso della prima conferenza internazionale di medicina ambientale organizzata in collaborazione con l’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara, gli effetti delle ondate di calore e delle condizioni siccitose protratte nel tempo hanno causato, solo in Europa, una perdita complessiva della resa cerealicola tra il 7% e il 9% negli ultimi 50 anni.

Se si estende il campo alla generalità dei cambiamenti climatici e agli eventi meteo estremi sempre più frequenti nel mondo, emerge come rispetto a 30 anni fa alcune produzioni alimentari abbiano subito perdite enormi: in media 69 milioni di tonnellate all’anno i cereali, 40 milioni la frutta, 40 milioni lo zucchero, 39 milioni la verdura, per un totale, solo per queste coltivazioni, che sfiora i 190 milioni di tonnellate all’anno.

A tale situazione si aggiungono gli effetti delle guerre in corso nel mondo. Ad esempio solo nelle aree orientali dell’Ucraina, circa il 18% dei terreni agricoli dal 2022 non sono stati coltivati a causa del conflitto, con un calo della produzione agricola tra il 2022 e il 2023 del 36% per il mais, del 35% per il grano e del 10% per i semi e l’olio di girasole.

L’attuale escalation della crisi in Medio Oriente ha fatto invece impennare le quotazioni petrolifere del +6,5% in meno di tre giorni: petrolio più caro equivale a prezzi più alti in tutti i settori.

Minori produzioni determinano anche più fame nel mondo e più malnutrizione, soprattutto in quelle aree più povere del globo che sopravvivono grazie alle coltivazioni a basso costo. «Esiste un nesso causale ben documentato tra cambiamenti climatici, conflitti e migrazioniafferma Marcello Iriti, responsabile sicurezza alimentare Sima e professore all’Università di Milano -. Eventi meteorologici estremi e disastri naturali hanno un effetto diretto sui sistemi alimentari, sulla produzione di cibo e sui prezzi dei prodotti alimentari, così come le guerre. Si tratta, indubbiamente, di uno scenario estremamente complesso che richiede interventi altrettanto complessi e articolati, soprattutto dal punto di vista delle politiche estere, energetiche, economiche e alimentari».

 

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