Alla fine del 2018 si conferma il lento moto del Pil Italia: la crescita dell’economia italiana sarà ancora indietro di 11,3 punti rispetto alla media dell’area euro. Una situazione che dipende anche dal crollo degli investimenti: mentre nell’eurozona sono vicini ai livelli del 2007 (96 punti su 100), dentro i confini dello Stivale la distanza rispetto all’anno pre-crisi è enorme (79 punti su 100).
Mancanza di fiducia e di competitività contribuiscono a fiaccare il prodotto interno lordo italiano he continua ad aumentare a un ritmo troppo lento: nonostante i miglioramenti, il gap con l’eurozona resta significativo. Il divario si è addirittura allargato negli ultimi anni. Alla fine del 2006, l’Italia era più virtuosa con la crescita del Pil superiore di circa 3 punti rispetto alla media degli altri Paesi che adottano la moneta unica; due anni più tardi, nel 2008, si è registrato il sorpasso con l’economia nazionale che è arretrata di circa due punti. E’ quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui rispetto al 2007, l’eurozona ha recuperato 6,9 punti di crescita, mentre l’Italia è indietro di 4,4 punti: in totale, il divario è dunque di 11,3 punti.
«Siamo molto distanti e ci resteremo a lungo senza un progetto di rilancio serio per l’economia italiana. Paghiamo un gap di competitività, di infrastrutture, di un sistema fiscale ossessivo che tiene alla larga gli investimenti stranieri e induce gli italiani a fuggire, delocalizzando. La nostra analisi deve servire al governo di Giuseppe Conte affinché, in vista della messa a punto della legge di bilancio, si facciano le opportune riflessioni» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci.
Secondo lo studio di Unimpresa, alla fine del 2018 la crescita del prodotto interno lordo italiano sarà di 11,3 punti più bassa rispetto alla media dell’area euro. Il punto di partenza dell’analisi è il 2007, ultimo anno “sano” prima della crisi finanziaria internazionale. Da 11 anni a oggi, il Pil italiano e quello dell’eurozona si sono costantemente allontanati: il momento del maggiore distacco si registrerà proprio alla fine di quest’anno con un differenziale di 11,3 punti, ma già nel 2014 la forbice della crescita del Pil era a quota 6,1 punti. Una situazione legata a doppio filo anche all’andamento degli investimenti e anche in questo caso i calcoli partono da fine 2007 (quota 100): a metà 2011 la spesa interna (78 punti) è rimasta sempre più distante dalla media dell’area euro (87 punti); alla fine del 2014 il divario era di oltre 12 punti (72 punti contro 84) e nel 2017 di 15 punti (78 a 93). Alla fine di quest’anno, il divario sarà di 17,5 punt«i (79 a 96,5).
«Servono meno tasse, più infrastrutture, più incentivi per fare investimenti. Se non si entra in questo meccanismo, non si esce dalla spirale negativa in cui ci siamo avvitati. In assenza di scossoni, invece, siamo condannati a una lunga stagnazione. Il “Made in Italy” è ancora un valore enorme all’estero e molto si può fare, ma ci vuole coraggio. E’ il governo del cambiamento? Diamo credito alla maggioranza formata da Lega e Cinque Stelle, giudicheremo i fatti, a cominciare dalla legge di stabilità» dice Pucci. Una legge che sia basata su fatto concreti per il rilancio dell’economia, piuttosto che per allargare l’assistenzialismo specie al sud, come pare abbia intenzione di fare il vicepremier Luigi Di Maio con l’ultima versione del reddito di cittadinanza, ridotto nell’importo per mancanza di fondi, ma con un’erogazione legata quasi esclusivamente al Sud Italia. Un provvedimento, se quest’impostazione venisse confermata, che altro non sarebbe un immane spreco di scarse risorse pubbliche solo per alimentare la clientela elettorale M5s, che proprio al Sud ha trovato la sua naturale area elettiva.