Payback sanitario, a rischio 100.000 posti e le forniture ospedaliere

Il 70% delle aziende coinvolte rischiano il fallimento. Dalla nuova legge di bilancio nessuna risposta.

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La filiera dei dispositivi medici lancia di nuovo l’allarme contro il payback sanitario che rischia di strangolare definitivamente il settore delle forniture dei dispositivi sanitari e dei medicinali.

Se – come al momento sembra – nella legge di bilancio 2025 non ci sarà nessun intervento radicale, il 70% delle aziende del comparto rischia la chiusura, con la perdita di più di 100.000 posti di lavoro e una drastica riduzione dell’offerta di tecnologie sanitarie per i pazienti.

Le principali associazioni rappresentative del comparto delle forniture hanno inviato una comunicazione ufficiale ai ministri della Salute, delle Imprese e del “Made in Italy”, dell’Economia e Finanze e alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, sollecitando la convocazione urgente di un tavolo tecnico sul tema del payback sanitario dei dispositivi medici.

«È necessario un intervento immediato», affermano in una nota. Le aziende avevano già indirizzato una missiva ai ministri competenti e alle Regioni circa tre settimane fa. Alla vigilia della messa a punto della manovra, le associazioni avevano chiesto la cancellazione della misura che obbliga le aziende a concorrere al ripianamento dello sforamento dei tetti destinati a questi prodotti.

Senza questo intervento – avevano detto le aziende della fornitura – si prospetta la «chiusura di molte imprese e il reale rischio che al servizio sanitario arrivino prodotti obsoleti e di scarsa qualità».

Dopo che a luglio la Consulta aveva dichiarato la legittimità del dispositivo del payback sanitario (“non risulta irragionevole”, né “sproporzionato”, aveva sentenziato), l’autunno sembrava aver portato un clima propizio alle aziende. A fine settembre esponenti Pd avevano depositato una proposta di legge diretta all’abolizioneretroattiva” del meccanismo introdotto nel 2015 e attivato solo nel 2022.

Dal governo Meloni, intanto, alla vigilia della manovra erano arrivati segnali di apertura: sia il ministro delle Imprese e del “Made in Italy”, Adolfo Urso, sia quello della Salute, Orazio Schillaci, si erano detti al lavoro per una soluzione del problema. Nei giorni scorsi, invece, è arrivata la doccia fredda: per il momento nessuna abolizione, al massimo una diluizione. L’ipotesi del governo Meloni sembra infatti essere quella di spalmare in cinque anni il debito relativo agli anni 2015-2018: si tratta di circa 1 miliardo di euro, dopo che lo scorso anno, con il “decreto bollette”, il governo aveva tagliato di circa 1 miliardo il debito complessivo residuo.

«L’approssimarsi della definizione della legge di bilancio rende imprescindibile un intervento tempestivo per evitare il collasso del comparto industriale del medtech italiano», affermano le imprese, secondo cui la convocazione del tavolo tecnico non può essere rimandata oltre la prima decade di novembre. «Senza azioni concrete – concludono – le Pmi italiane non saranno in grado di sopravvivere e le grandi multinazionali lasceranno il mercato, con gravi ripercussioni sul sistema sanitario e sull’occupazione nel Paese».

 

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