Sono oltre 1.400 le aziende e 190.000 i posti di lavoro che potrebbero essere a rischio a seguito della congiuntura non favorevole e della richiesta di payback per dispositivi medici. È quanto si apprende dallo studio Nomisma “L’impatto del payback sulle imprese della filiera dei dispositivi medici”, commissionato da Pmi Sanità e da Fifo Sanità Confcommercio.
Lo studio ha interessato 4.000 società della filiera dei dispositivi medici attive in tutta Italia, un comparto caratterizzato dalla presenza di molte aziende che ancora non hanno superato le difficoltà dovute alla recente congiuntura negativa, che è fortemente mutata da quando la richiesta di ripiano è stata maturata (2015-2018): al 2021, 1 azienda su 8 risulta cessata, in liquidazione o in stato di insolvenza mentre 1 su 3 risulta in stato di sofferenza, a seguito degli effetti della pandemia.
Mettendo insieme le aziende già in una situazione di squilibrio con quelle in difficoltà a seguito del payback per dispositivi medici, sono quasi 1.400 le imprese coinvolte. Si tratta di imprese che, per altro, hanno già versato imposte per 3,8 miliardi di euro nei quattro anni interessati dalla richiesta di ripiano, ai quali si aggiungerebbe la relativa quota di payback (pari a 704 milioni di euro).
L’impatto risulterebbe particolarmente gravoso sulle Pmi, tipicamente più fragili e meno capitalizzate, che sarebbero chiamate a versare un importo pari a oltre 1/3 dei margini lordi e oltre il 60% degli utili prodottinell’ultimo esercizio. Gli effetti del payback per dispositivi medici risulterebbero ancor più pesanti se si considera che le aziende di settore che presentano perdite di esercizio sarebbero escluse dalle gare di appaltodella pubblica amministrazione perché prive di un criterio di solidità generalmente richiesto, cosa che accentuerebbe ulteriormente la situazione di fragilità economica e finanziaria, impattando sulla tenuta dell’intero comparto.
Dalle cifre sollecitate per il ripiano emerge, secondo l’analisi «una difficile sostenibilità dello stesso che imponeun onere crescente, non prevedibile e sganciato dai risultati economici delle aziende, con possibili riflessi negativi sulla continuità di fornitura del Sistema Sanitario Nazionale». Oltre ai rischi occupazionali e di erosione del gettito, lo studio Nomisma segnala anche che la rete di fornitura si assottiglierebbe».
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