Pagamenti ritardati: le grandi imprese si finanziano penalizzando i piccoli fornitori

Nonostante l’obbligo di legge di pagare a 30 giorni (60 nel comparto sanitario), sono molti che pagano a 90 giorni data fattura fine mese.

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Che scoperta: le grandi imprese si finanziano anche ricorrendo allo strozzo dei loro fornitori, con pagamenti ritardati oltre i 30 giorni di legge ai loro fornitori, specie se piccoli. Secondo l’indagine dell’Ufficio studi della Cgiastoricamente è sempre stato così e il fenomeno si è puntualmente ripresentato nei primi tre mesi del 2023: con la frenata del Pil i ritardi sono tornati ad aumentare.

Oggi in Italia il saldo avviene dopo 69 giorni dall’emissione della fattura, ma sono molte le aziende che impongono pagamenti ritardati a 90 giorni data fattura fine mese, ovvero con pagamenti fino a 120 giorni se la fattura è emessa nella prima settimana del mese. Questa è una cattiva abitudine tipicamente italiana che consolidal’abuso di posizione dominante delle aziende imprenditoriali più grandi a danno di quelle più piccole.

Non solo. L’aspetto più subdolo, comunque, sta nel fatto che lo slittamento spesso intenzionale del saldo fattura consente ai committenti di finanziarsi a costo zero, facendo scivolare i creditori verso l’insolvenza.

pagamenti ritardati, oltre a rappresentare una modalità molto diffusa in Italia, rischia di pesare negativamente sulla liquidità delle imprese, fino a compromettere la competitività e la redditività, quando per esempio il creditore deve ricorrere a un finanziamento esterno.

E con il probabile nuovo aumento dei tassi di interesse che la BCE ha annunciato nei giorni scorsi per i primi giorni di luglio, molto probabilmente la situazione è destinata a peggiorare.

Analizzando la serie storica che va dal 2007 al primo trimestre del 2023, la Cgia evidenzia che la percentuale di imprese che nelle transazioni commerciali tra privati hanno pagato con ritardi superiori ai 30 giorni ha toccato i picchi più elevati negli anni dove la caduta del Pil italiano è stata più evidente. Nel 2009 (crisi subprime) la percentuale si è attestata al 17,1%, nel 2013 (dopo la crisi dei debiti sovrani) al 15,7% e nel 2020 (crisi da Covid) al 12,8%. Con la ripresa economica post pandemica, nel 2021 e nel 2022 i ritardi hanno subito una decisa contrazione. L’anno scorso, hanno toccato il minimo storico del 9,1%. Nei primi tre mesi del 2023, invece, a seguito della frenata subita dall’economia, la media nazionale è tornata a salire, fermandosi nel marzo scorso al 9,5%.

In Italia, secondo i dati raccolti da Cribis Itrade, nel quarto trimestre 2022 la percentuale di pagamenti avvenuta entro i tempi previsti dal contratto commerciale tra committenti e fornitori si è attestata al 40,9: solo in 4 transazioni su 10 la scadenza di pagamento è stata rispettata. Tra i 26 Paesi dell’area europea monitorati, nella classifica dei più virtuosi l’Italia si è “piazzata” al XX posto. Peggio dell’Italia solo Serbia, Irlanda, Grecia, Portogallo, Bulgaria e Romania. Sebbene il risultato dell’Italia rispetto al 2019 (anno pre Covid) sia migliorato, il differenziale nei confronti dei principali partner commerciali italiani resta elevato. L’anno scorso, la percentuale di pagamenti nei tempi previsti era pari a 46 in Spagna, a 48 in Francia, a 63 in Germania e addirittura a 75 in Olanda.

Rispetto alle medie e alle grandi imprese, quelle di più piccola dimensione sono le più puntuali nei pagamenti. Sempre nel primo trimestre 2023, i dati Cribis evidenziano che il 42,5% del totale delle imprese di piccola dimensione presente in Italia ha saldato le fatture nei tempi definiti per contratto. Man mano che aumenta la dimensione aziendale la percentuale scende; le peggiori pagatrici sono le grandi imprese che hanno registrato un valore pari al 14,9%. Le piccole imprese, inoltre, mostrano tempi di pagamento inferiori alla media nazionale. Sempre nel primo trimestre del 2023, le realtà di piccolissima dimensione hanno onorato i propri impegni contrattuali in 65 giorni, le grandi imprese in 67 e quelle medie in 71.

A livello territoriale se nel primo trimestre 2023 a livello nazionale il tempo medio di pagamento è stato di 69 giorni, le imprese committenti della Sicilia hanno saldato i propri fornitori dopo 83 giorni. Nella classifica dei “cattivi” pagatori seguono le aziende della Valle d’Aosta con 78 giorni e quelle del Friuli Venezia Giulia e della Calabria con 76. Le aziende pagatrici più virtuose, invece, risiedono in Veneto (con un tempo medio di pagamento pari a 66), in Lombardia (64), in Trentino Alto Adige (63) e, in particolar modo, in Liguria (62). Sempre nel primo trimestre del 2023, la percentuale in cui i pagamenti sono avvenuti dopo i 30 giorni interessa soprattutto il Sud. In Molise il ritardo coinvolge il 14,1% dei contratti, il 14,9% in Campania, il 17,8% in Calabria e il 18,3% in Sicilia

I tempi medi di pagamento più elevati vengono praticati dai committenti dei settori della ceramica (91 giorni), dei macchinari (82), della siderurgia e dell’installazione (entrambi con 81), dei servizi alle imprese (77), delle costruzioni (73) e della produzione chimica e della gomma (entrambi con 72). I più virtuosi, invece, riguardano i trasporti (54 giorni), i servizi di ospitalità (49) e, in particolar modo, i servizi alle persone (42). Se, infine, si fotografa la percentuale dei pagamenti ritardati oltre i 30 giorni, i settori più ritardatari in questo inizio 2023 hanno riguardato i bar e la ristorazione (19,7% del totale dei contratti), la grande distribuzione (12,2%), l’alimentare (12,1%) e l’agricoltura (11,4%).

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