Sebbene la congiuntura non sia delle migliori e gli effetti economici del coronavirus siano ancora difficilmente quantificabili, gli imprenditori, in particolar modo quelli del NordEst, continuano a trovare molte difficoltà nel mercato del lavoro per reperire personale, soprattutto qualificato.
Dall’elaborazione effettuata dall’Ufficio studi della Cgia – sui risultati emersi dall’indagine condotta sulle entrate programmate dagli imprenditori a gennaio 2020 dall’Unioncamere-ANPAL, Sistema informativo Excelsior – risulta che il 32,8% delle assunzioni previste sono di difficile reperimento a causa dell’impreparazione dei candidati o, addirittura, per la mancanzadegli stessi.
Su poco meno di 500.000 assunzioni previste a gennaio 2020, il 32,8% degli imprenditori intervistati ha segnalato che, probabilmente, troverà molte difficoltà a “coprire” questi posti di lavoro (poco più di 151.300), di cui il 15,7% a causa della mancanza di candidati (poco meno di 72.500) e un altro 13,8% per la scarsa preparazione (circa 63.700) degli stessi.
«L’offerta di lavoro si sta polarizzando – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi dell’Associazione artigiani mestrina, Paolo Zabeo –: da un lato gli imprenditori cercano sempre più personale altamente qualificato; dall’altro, si propongono figure caratterizzate da bassi livelli di competenze e specializzazione. Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa anche dello scollamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, i secondi, invece, sono profili che spesso i nostri giovani rifiutano e solo in parte vengono coperti dagli stranieri».
A livello provinciale le situazioni più problematiche emergono a NordEst. Se nella provincia di Gorizia il personale di difficile reperimento incide per il 48,1% sul numero delle assunzioni previste, a Trieste è il 45,5%, a Vicenza il 44,6%, a Pordenone il 44,2%, a Reggio Emilia il 42,7%, a Treviso il 42,3% e a Piacenza il 40,5%. Le figure professionali maggiormente richieste al NordEst, che la domanda non riesce a soddisfare, sono i tecnici informatici, gli addetti alla vendita e gli esperti in marketing, i progettisti, gli ingegneri, i cuochi, i camerieri, gli operai metalmeccanici ed elettromeccanici.
Da qualche anno, i giovani non vogliono più fare gli autisti di mezzi pesanti, sia perché il costo per ottenere la patente C o D e la “Carta di Qualificazione del Conducente” (CQC) ha una dimensione importante che oscilla tra i 2.500 e i 3.000 euro, sia perché è una professione estremamente faticosa. Alle ore di guida spesso si accompagnano anche quelle necessarie per compiere le operazioni di carico e scarico della merce trasportata.
La difficoltà di trovare degli autisti di mezzi pesanti è una delle tante contraddizioni che caratterizzano questo settore che, ricordiamo, negli ultimi 10 anni ha perso quasi 25.000 padroncini, anche se oggi fatica a reperire, persino al Sud, giovani disponibili a mettersi alla guida di un Tir come dipendenti.
Più in generale, comunque, il mercato del lavoro presenta un grande paradosso che non è riscontrabile tra i nostri principali competitors presenti in Europa. Pur avendo un numero di diplomati e di laureati tra i più bassi di tutti i paesi UE, gli occupati sovraistruiti presenti in Italia sono poco meno di 6 milioni, il 24,2% degli occupati totali e il 35% deglioccupati diplomati e laureati. Negli ultimi anni questo fenomeno è aumentato per 2 ordini di motivi: pur di lavorare molte persone hanno accettato una occupazione meno qualificata del titolo di studio conseguito; il “mismatch” (disallineamento) esistente tra le competenze richieste e quelle possedute.
Questa specificità provoca un forte disinteresse e una scarsa motivazione per il proprio lavoro che ha delle ricadute molto negative sulla produttività del sistema economico. Un risultato che è anche ascrivibile al fatto che in Italia, pur avendo pochi laureati, la maggioranza lo è in materie umanistiche o sociali difficilmente spendibili nel mercato del lavoro, mentre abbiamo un numero insufficiente di laureati in materie scientifiche (matematica, fisica, chimica, etc.) che, invece, sono ricercatissimi, soprattutto dalle nostre medie e grandi imprese. Qui entra in ballo la questione dell’orientamento scolastico che andrebbe potenziato e diffuso lungo tutto il corso della scuola media inferiore e superiore, facendo capire a giovani e famiglie che un corso di studi tecnico non è affatto disdicevole, anzi.
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