Il mondo delle libere professioni in Italia è sotto pressione, con il calo degli iscritti e fatturati decisamente insoddisfacenti per gran parte degli iscritti agli ordini secondo quanto emerge dal rapporto di settore da parte di Confprofessioni.
Nel 2022 poco più di 53.000 liberi professionisti hanno chiuso. Dopo oltre 10 anni di crescita continua, interrotta solo dalla pandemia, si ferma la corsa dei liberi professionisti in Italia, che nel 2022 si attestano a 1.349.000 unità, segnando una flessione del 3,7% rispetto al 2021. Il bilancio diventa ancor più pesante se si considera che negli ultimi quattro anni circa 76.000 professionisti hanno abbandonato la loro attività, con una variazione negativa del 5%, con molti che si sono trasformati in dipendenti delle aziende private o della pubblica amministrazione.
Il settore delle libere professioni si muove in netta controtendenza rispetto alle dinamiche occupazionali della forza lavoro in Italia. Tra il 2018 e il 2022, il numero di occupati è cresciuto dello 0,6%, ma è stato assorbito quasi esclusivamente dal lavoro dipendente, che aumenta di oltre 765.000 unità, a scapito di quello indipendente che nello stesso periodo perde 291.000 posti di lavoro. Non solo, il calo del comparto professionale si ripercuote anche a livello europeo, dove l’Italia con 48 liberi professionisti ogni mille occupatiperde la primazia e cede il passo ai Paesi Bassi, che detengono il primo posto per tasso di presenza della libera professione, con 50 liberi professionisti ogni mille occupati.
L’incertezza di un quadro economico assai complesso, insieme con il preoccupante declino demografico del Paese, sta modificando profondamente le caratteristiche del settore, che se da una parte vede ridursi il numerodegli iscritti a un ordine professionale, dall’altra non riesce più ad attrarre le giovani leve. Nonostante l’aumento del numero di laureati, si registra una scarsa propensione verso le libere professioni soprattutto tra le attivitàgiuridiche, gli architetti, gli agronomi e i veterinari. Tra il 2018 e il 2022 il numero di laureati che hanno sceltola libera professione è passato da 20.795 a 18.644, registrando un calo del 10,3%. All’appello mancano 2.151 laureati, che hanno preferito un lavoro dipendente.
La flessione degli iscritti colpisce quasi tutte le categorie professionali e risulta più marcata nel Mezzogiorno, che sconta una massiccia ondata migratoria verso le regioni del Centro e del Nord. Un fenomeno che ridisegna la configurazione degli studi. Se durante la pandemia i più penalizzati erano stati gli studi con dipendenti, nel 2022si inverte la tendenza, con il recupero di quasi 11.000 professionisti datori di lavoro (e sono le donne a trascinare la crescita); mentre cala di circa 63.000 unità il numero di professionisti senza dipendenti. Un dato che indica una tendenza a rafforzare i livelli occupazionali e, quindi, una spinta verso i processi aggregativi degli studi professionali.
«Calo demografico, basso fascino delle libere professioni tra i giovani laureati e flessione del numero complessivo degli iscritti agli ordini professionali – commenta il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella -. L’VIII Rapporto sulle libere professioni in Italia ci consegna un quadro fedele e piuttosto preoccupante di una realtà economica che subisce le conseguenze di una congiuntura negativa proprio quando l’intero settore è alle prese con una difficile transizione dettata dalla forza dirompente delle tecnologie digitali, che impongono notevoli investimenti per ridisegnare i modelli organizzativi all’interno degli studi professionali»
Per Stella «in questo scenario, la contrazione del numero di iscritti agli albi professionali diventa ancor più preoccupante alla luce della scarsa propensione dei giovani neo laureati verso la libera professione. Un fenomeno aggravato dagli squilibri demografici e dal profondo divario tra le regioni del Sud e quelle del Nord. Tuttavia, all’interno del Rapporto ci sono segnali incoraggianti, per esempio, sul fronte dell’occupazione e l’aumento dei datori di lavoro professionisti è un chiaro sintomo della necessità di accelerare i processi di aggregazione, anche tra discipline diverse, per favorire la crescita dimensionale degli studi professionali e sostenere la loro competitività sul mercato nazionale e internazionale. L’insieme di questi fattori ci spinge a sottolineare l’esigenza di un intervento della politica per rendere più attrattivo e competitivo il nostro settore. E i segnali che arrivano in questa direzione dalle forze di Governo e dalle opposizioni ci lasciano ben sperare».
Nel 2022 il reddito medio annuo dei professionisti iscritti alle casse di previdenza private è salito a quota 38.752 euro, in aumento rispetto ai 33.269 euro del 2021 e con un balzo del 14,2% rispetto al periodo pre-crisi pandemica. A beneficiare della crescita dei profitti sono soprattutto le professioni tecniche, grazie anche alla spinta del Superbonus. In cima alla classifica si collocano i geometri con un incremento del 37,7% sul 2010, seguiti a ruota dai geologi (+29,8%), architetti (+28,4%) e ingegneri (+25,9%). In base ai dati delle casse private, le professioni più redditizie sono quelle degli attuari (con un reddito medio di 96.306 euro) e dei commercialisti(74.330 euro); in calo, invece, i consulenti del lavoro (49.202 euro). In fondo alla classifica si collocano agrotecnici, giornalisti e psicologi.
L’aumento dei redditi è confermato anche dai dati Isa (Indici sintetici di affidabilità fiscale) del Mef che, a differenza dei dati delle Casse private escludono i contribuenti che adottano il regime forfettario, le nuove partite Iva, i contribuenti che hanno riportato cali dei compensi superiori al 33%. In questo caso, le attività che registrano l’incremento maggiore nei redditi medi sono gli studi notarili (+19,2%), seguiti dagli psicologi(+15,6%) e dalle professioni paramediche indipendenti (+13,5%).
Passando ai professionisti iscritti alla gestione separata Inps, la musica cambia. A fronte dell’aumento del numero degli iscritti (dai 260.000 del 2010 ai 476.000 del 2022), il Rapporto Confprofessioni sottolinea una costante contrazione del reddito medio, che scende dai 19.000 euro pro capite del 2010 ai 17.000 euro del 2022. Il divario reddituale appare ancor più marcato tra Nord-Sud e si attesta intorno a 6-7.000 euro, con Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Veneto in testa alla classifica dei redditi più alti; fanalini di coda Sicilia, Calabria e Campania.
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