Le fabbriche, gli uffici, i negozi e le botteghe, tutte le imprese nei piccoli comuni d’Italia con meno di 20.000 abitanti producono il 38% del Pil generato da tutto il comparto economico privato presente nel Paese (industria e servizi); un’incidenza superiore a quella ascrivibile alle attività situate nelle grandi città (35% del Pil), ovvero quelle con più di 100.000 abitanti. Questo il principale risultato emerso da una elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre per conto di Asmel, l’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali, che rappresenta oltre 2.800 comuni in tutt’Italia.
«A differenza delle grandi città – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo – i piccoli comuni hanno pochi mezzi a disposizione e tanti problemi di dimensione sovracomunale da affrontare. La forte concentrazione delle attività produttive nelle realtà territoriali minori impone a questi sindaci risposte importanti su temi come la tutela dell’ambiente, la sicurezza stradale, la mobilità, l’adeguatezza delle infrastrutture viarie e la necessità di avere un trasporto pubblico locale efficiente. Sono criticità che richiedono un approccio pianificatorio su larga scala che, spesso, non si può attivare a causa delle poche risorse umane e finanziarie a disposizione».
Dei 750 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto da tutte le aziende private presenti nel Paese (pari a poco meno della metà del Pil nazionale), 286,6 miliardi sono generati nelle piccole amministrazioni comunali e 261,2 miliardi nelle grandi. Nei medi comuni (quelli tra i 20.000 e i 100.000 abitanti), il valore aggiunto ammonta a 202,2 miliardi (il 27% del totale del Pil in capo al settore industriale)
«I comuni con meno di 20.000 abitanti – segnala il segretario dell’Associazione artigiani di Mestre, Renato Mason – sono importanti non solo perché ospitano tantissime imprese private e generano tanto Pil, ma anche perché costituiscono il 93% del totale delle amministrazioni comunali presenti nel Paese, ci abita il 46% di tutta la popolazione nazionale e ci lavora il 41% degli addetti italiani presenti nelle aziende private. Assieme ai comuni di media dimensione sono i principali soggetti economico/ istituzionali che la politica romana dovrebbe guardare con maggiore attenzione».
Disaggregando il valore aggiunto totale prodotto dalle imprese private nelle due branche che lo compongono, industria e servizi, emerge la grandissima vocazione manifatturiera dei comuni con meno di 20.000 abitanti. In questi piccoli enti locali risultano insediate il 54% delle unità operanti nel settore dell’industria (pari a 533.410 imprese) il 56% degli addetti (poco più di 2.944.200 lavoratori) e addirittura il 52% del valore aggiunto (163,9 miliardi di euro)
«Come era facilmente prevedibile – dice Daniele Nicolai, ricercatore dell’Ufficio studi – il settore dei servizi è concentrato in particolar modo nelle grandi realtà urbane: nelle città con più di 100.000 abitanti si scorge il 32% delle unità locali di questo settore, il 37% degli addetti e il 45% del valore aggiunto». I piccoli comuni con meno di 20.000 abitanti si ritagliano anche nei servizi un ruolo per nulla marginale, rappresentando il 38% delle imprese (1.370.462 unità), il 33% degli addetti (3.585.139 addetti) e il 28% del valore aggiunto (122,7 miliardi di euro).
Se non si considera la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata – che sono le uniche regioni italiane che non hanno amministrazioni comunali con più di 100.000 abitanti – è il Triveneto l’area geografica del Paese dove nei piccoli comuni si concentra il più alto numero di imprese, di addetti e anche di valore aggiunto.
Nei comuni con meno di 20.000 abitanti, il Trentino Alto Adige guida la graduatoria con una incidenza pari al 64% del totale delle unità locali dell’industria e dei servizi presenti nella regione. Seguono il Friuli Venezia Giulia con il 62%, la Calabria con il 61% e il Veneto con il 56%. Per quanto concerne gli addetti, invece, sempre nelle piccole amministrazioni locali con meno di 20.000 abitanti svettano il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige, entrambi con una incidenza del 63%. Seguono il Veneto con il 57% e la Calabria con il 55%.
In merito al valore aggiunto, infine, è ancora una volta il Friuli Venezia Giulia a registrare l’incidenza più alta nei territori caratterizzati dalla presenza dei piccoli comuni (64%). Tallonano la regione più nordestina del Paese il Trentino Alto Adige (58%), il Veneto (57%) e l’Abruzzo (51%).
A questo link è disponibile lo studio completo della Cgia per l’Asmel.
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