La sovraistruzione del lavoratore rispetto alla mansione svolta abbassa la produttività

La Cgia denuncia un fenomeno in crescita, mentre aumenta la “fame” di operatori esecutivi specializzati. In Trentino Alto Adige la crescita più sostenuta dei sovraistruiti.

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Secondo l’Ufficio studi della Cgia sono oltre 5.800.000 gli occupati con sovraistruzione presenti in Italia. Sono i diplomati e i laureati che svolgono una professione per la quale il titolo di studio maggiormente richiesto è inferiore a quello posseduto. Nel 2019 erano poco meno del 25% del totale degli occupati e la loro incidenza è in costante aumento: negli ultimi 10 anni, i dati assoluti dei sovraistruiti in Italia sono cresciuti di quasi il 30%. Se, inoltre, si calcola la percentuale solo sugli occupati che possiedono un diploma di scuola media superiore o una laurea, nel 2019 l’incidenza degli sovraistruiti è salita al 40%. 

«L’incremento degli sovraistruiti è in massima parte dovuto alla mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste dalle aziende e quelle possedute dai candidati – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo -. Non va nemmeno dimenticato che grazie al ricambio generazionale registrato in questi anni sono usciti dal mercato del lavoro tantiover 60” con livelli di istruzione bassi che sono stati rimpiazzati da giovani diplomati o laureati senza alcuna esperienza professionale alle spalle. La sovraistruzione non va sottovalutata, perché molto spesso attiva meccanismi di demotivazione e di scoramento che condizionano negativamente il livello di produttività del lavoratore interessato e conseguentemente dell’azienda in cui è occupato. Il clima di sconforto che si viene a creare può innescare delle situazioni di malessere che diffondendosi tra i colleghi può addirittura interessare interi settori o reparti produttivi, con ricadute molto negative per la vita dell’azienda». 

Per combattere la sovraistruzione, secondo la Cgia, bisogna assolutamente ridurre lo scollamento tra domanda e offerta di lavoro, cercando di far collimare sempre più le esigenze aziendali con le specificità e l’autonomia del mondo della scuola.  

Nonostante il problema della sovraistruzione in Italia sia in costante ascesa, paradossalmente il Paese continua ad essere tra i meno scolarizzati d’Europa. «Nel 2019 la quota di popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore era del 62,2%, un dato decisamente inferiore a quello medio dell’Unione a 28, pari al 78,8% e a quello di alcuni tra i nostri principali competitor – analizza il segretario della Cgia, Renato Mason -. La Francia registrava l’80,4%, il Regno Unito l’81,1% e la Germania l’86,6%. Non meno ampio è il divario per quanto riguarda la percentuale di coloro che hanno conseguito un titolo di studio terziario sempre nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni. Se nel 2019 in Italia la soglia era del 19,6%, la media europea si è attestata al 33,2%». 

A livello territoriale la regione piùinvestita” dal fenomeno è l’Umbria che l’anno scorso registrava il 33% dei sovraistruiti sul totale degli occupati. Seguono l’Abruzzo (30,3%), la Basilicata (29,4%), il Molise (27,8%) e il Lazio (27,2%). In coda alla graduatoria il Piemonte (22,2%), la Lombardia (21,7%) e il Trentino Alto Adige (19,3%). Negli ultimi 10 anni la crescita più sostenuta del numero degli occupati sovraistruiti l’ha avuta il Trentino Alto Adige (+57%), seguono la Sardegna (+46%), e la Puglia (+45%). 

Tra i laureati che svolgono un lavoro per il quale il titolo di studio più richiesto è inferiore a quello posseduto le professioni più diffuse sono quelle di tecnico informatico, contabile, personale di segreteria, impiegato amministrativo. Tra i diplomati, invece, prevalgono i lavori di barista, cameriere, muratore e camionista. 

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