Studio della Cgia di Mestre sui redditi del lavoratori atipici
Ecco l’identikit del precario: percepisce mediamente 836 euro al mese, solo il 15% ha una laurea, la pubblica amministrazione è il suo principale datore di lavoro e nella maggioranza dei casi lavora nel Mezzogiorno (35,18% del totale). Secondo un’analisi realizzata dalla CGIA di Mestre, è questo il profilo del lavoratore precario italiano che include le seguenti tipologie di occupati:
i dipendenti a temine involontari;
i dipendenti part time involontari;
i collaboratori che presentano contemporaneamente 3 vincoli di subordinazione: monocommittenza, utilizzo dei mezzi dell’azienda e imposizione dell’orario di lavoro;
i liberi professionisti e lavoratori in proprio (le cosiddette Partite Iva) che presentano in contemporanea i 3 vincoli di subordinazione descritti nel punto precedente.
In termini assoluti, l’esercito dei precari è pari a 3.315.580 unità, e la retribuzione netta mensile media tra i giovani con meno di 34 anni è di 836 euro. Questa retribuzione sale a 927 euro mensili per i maschi e scende a 759 euro per le donne. Dalla Cgia si precisa che questi importi escludono altre mensilità (tredicesima, quattordicesima, etc.) e le voci accessorie percepite regolarmente tutti i mesi, come ad esempio i premi di produttività, le indennità per missioni, etc.
Per quanto riguarda il titolo di studio, quasi uno su due (per l’esattezza il 46% del totale) ha un diploma di scuola media superiore, il 39% circa ha concluso il percorso scolastico con il conseguimento della licenza media e solo il 15,1% è in possesso di una laurea.
“Su un totale di oltre 3.315.000 lavoratori senza un contratto di lavoro stabile – dichiara Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre – quasi 1.289.000, pari al 38,9% del totale, non ha proseguito gli studi dopo aver terminato la scuola dell’obbligo. Questi precari con basso titolo di studio sono in questa fase di crisi economica quelli più a rischio. Nella stragrande maggioranza dei casi svolgono mansioni molto pesanti da un punto di vista fisico e sono occupati soprattutto nel settore alberghiero, in quello della ristorazione e nell’agricoltura. Per questo ritengo che i percorsi formativi debbano essere posti al centro di un seria riflessione tra i politici e gli addetti ai lavori, affinché vengano si individuino delle risposte in grado di avvicinare in maniera più costruttiva l’attività formativa e il mondo delle imprese”.
Dove lavorano? Come accennato più sopra, la più alta concentrazione di lavoratori precari italiani è nel pubblico impiego. Scuola e sanità ne occupano 514.814, i servizi pubblici e quelli sociali 477.299. Se s’includono anche i 119.000 circa che sono occupati direttamente nella pubblica amministrazione (Stato, Regioni, Enti locali, etc.), il 34% del totale dei precari italiani è alle dipendenze del comparto pubblico (praticamente uno su tre). Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi ed i ristoranti (337.379).
A livello territoriale, è il Sud che ne conta il numero maggiore. Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%).