L’Azerbaigian destina il 57% delle proprie esportazioni petrolifere all’Italia, che costituisce così il principale mercato di sbocco per il petrolio azero, e circa il 20% della sua produzione di gas, posizionandosi come secondo fornitore di gas per l’Italia dopo l’Algeria secondo le stime del centro studi italiano sul clima Ecco, in uno studio diffuso all’apertura della Cop29 a Baku, destinata al fallimento prima ancora di aprire per via delle numerose diserzioni.
L’Azerbaigian secondo Ecco può essere definito un “petrostato”: i combustibili fossili rappresentano oltre il 90% dei proventi da esportazioni, il 60% delle entrate pubbliche e il 35% del Prodotto interno lordo (Pil). Il 95% delle esportazioni dell’Azerbaigian è composto da petrolio e gas naturale, e i paesi dell’Unione Europea – in primis l’Italia – rappresentano oltre la metà delle esportazioni totali.
L’Azerbaigian sta puntando sempre di più sulla vendita del proprio gas a Paesi europei, tra cui l’Italia, allacciando relazioni politiche ed economiche che fanno perno sulla cooperazione energetica. E non è del tutto escluso che lo stato funga da sorta di “testa di legno” per mascherare le esportazioni di petrolio e di gas provenienti dalla Russia, teoricamente in Europa finite sotto embargo, embargo che però mostra molti buchi proprio per via delle triangolazioni che continuano ad alimentare le importazioni di beni in Russia e le sue esportazioni energetiche, a tutto vantaggio del suo Pil che nel 2024 registrerà una crescita consistente, invece delle riduzioni preconizzate dai politicanti di Bruxelles.
Secondo Ecco, «l’incremento della capacità di trasporto del Tap (gasdotto TransAdriatic Pipeline, quello che dopo avere attraversato la Turchia e la Grecia sbocca a Melendugno in Puglia) che dovrebbe passare da una capacità di 10 a 20 miliardi di metri cubi l’anno, non sembra giustificato all’interno di scenari che vedono l’Italia e l’Europa perseguire un percorso coerente con gli obiettivi climatici nazionali ed europei al 2030, nonché con gli impegni dell’Accordo di Parigi», probabilmente destinato ad essere depotenziato dopo il nuovo corso americano che punta sul rilancio delle fonti fossili. Inoltre, aggiunge Ecco, «secondo uno studio dell’Oxford Institute for Energy Studies, se si ipotizza il massimo livello plausibile di produzione dell’Azerbaigian, entro il 2030 potrebbero essere disponibili al massimo 15 miliardi di metri cubi all’anno di gas in aggiunta ai volumi già contrattualizzati. Tale stima potrebbe ridursi nuovamente entro il 2035, a causa del declino naturale del giacimento». Ma qui, magicamente in un grande gioco delle tre carte, potrebbero materializzarsi le forniture russe sottobanco, che potrebbero venire anche alla luce del sole se con l’avvento di Trump alla Casa Bianca dovesse risolversi il conflitto in Ucraina, facendo tornare il mercato dell’energia ad una situazione di normalità e di abbassamento dei prezzi, a tutto vantaggio del rilancio dell’economia europea, con buona pace degli ambientalisti più o meno talebani.
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