Tra il 2006 e il 2016 il commercio intra-paesi Belt and Road Initiative (BRI) è aumentato dell’84% tra i paesi dell’area e del 17,6% tra l’Italia e l’area BRI: lo afferma il rapporto Nomisma – Centro Studi sulla Cina Contemporanea “L’Italia e il progetto BRI, le opportunità e le priorità del sistema paese” cofinanziato dal ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e presentato presso la Camera dei Deputati.
Considerando la rilevanza in percentuale di ogni paese nel totale commercio intra BRI – la Nuova Via della Seta – è la Cina a fare la parte del leone dal momento che il 23% degli scambi commerciali che avvengono nell’area sono da imputare a lei. Al secondo posto per rilevanza si trovano India e Singapore – con una percentuale di scambio tre volte inferiore alla Cina (7%). La BRI ha un ruolo fondamentale per il commercio estero dei molti piccoli paesi che ne fanno parte. Ad esempio l’export del Bhutan è esposto per il 96% verso l’area BRI, seguito dall’Afghanistan (92%), dal Laos (91%), Tajikistan (89%), Nepal (88%), Myanmar (81%); anche i paesi che commerciano meno vantano quote comprese tra il 40 e 30% a testimonianza del fatto che l’area è vitale per i paesi in essa inclusi.
Concentrando lo sguardo sull’Italia, il deficit di bilancio commerciale verso i Paesi BRI si è ridotto nel tempo dagli circa 50 miliardi di dollari del 2011 agli 11 miliardi del 2016, in gran parte dovuto al calo del costo dei prodotti energetici. All’interno dell’area BRI si trovano molti Paesi OPEC e la Russia. Tra le prime categorie di prodotto esportate dall’Italia vi sono macchinari e apparecchi (25%), prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori (12%), metalli di base e prodotti in metallo (10,9%), mentre l’Italia importa dai paesi BRI molti beni a domanda rigida, come commodities, prodotti agricoli, metalli. Anche se la bilancia è in deficit, un’intensificazione degli scambi sarebbe da considerarsi a favore dell’Italia. I paesi dell’area BRI in cui l’Italia ha maggiore penetrazione sono quelli “europei” (che rappresentano il 53% dell’export italiano), seguiti dalla Cina verso la quale converge il 10% dell’export del Belpaese.
«Negli ultimi anni l’Italia ha accresciuto il suo ruolo nell’area BRI soprattutto nella farmaceutica e nell’agri-food, settori che oggi sono tra i nostri campioni nazionali – evidenzia Lucio Poma, responsabile scientifico industria e innovazione di Nomisma -. Inoltre nei primi 15 paesi in cui l’Italia è più presente, l’influenza della Cina è meno forte che in altri paesi BRI. Questo dà senza dubbio più spazio all’iniziativa italiana nell’area».
Alberto Bradanini, presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea, già ambasciatore in Cina e Iran, ha ricordato che «l’Italia possiede asset di tutto rispetto in queste filiere, ed è dunque ben posizionata per avanzare proposte strutturate, sia verso la Cina, sia nei paesi terzi insieme a selezionati soggetti cinesi. In particolare, in ciascuno di questi ambiti vi è forte necessità di formazione di alto livello e professionalità ad hoc. Questi piani di cooperazione potrebbero costituire il presupposto per consentire al Sistema Italia di ricavarsi una presenza adeguata alle sue potenzialità nei progetti industriali che saranno sviluppati dalla Bri e che sono collegati a tali aspetti».
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