A gennaio 2022 l’inflazione schizza al 4,8%, secondo le stime definitive dell’Istat, spinta in alto dalla corsa dei prodotti energetici e da quella dei prodotti alimentari: un livello che non si vedeva dal 1996.
Una corsa che potrebbe riassorbirsi in tempi meno brevi del previsto con conseguenti ricadute sulla ripresa. Anche alla luce della fiammata che la crisi Ucraina potrebbe innescare sulle materie prime. Secondo l’Istat «i beni energetici regolamentati trainano questa fiammata con una crescita su base annua mai registrata, ma tensioni inflazionistichecrescenti si manifestano anche in altri comparti merceologici. L’aumento congiunturale dell’indice generale è infatti dovuto, per lo più, ai prezzi dei beni energetici regolamentati (+43,8%) e in misura minore a quelli degli energetici non regolamentati (+3,0%)». All’energia ora si aggiungono le tensioni internazionali tra Russia e Ucraina che spingono i prezzi del grano al rialzo del 30%, preoccupando non poco agricoltori, allevatori e consumatori.
Il balzo dei prezzi preoccupa consumatori e imprese anche per la sua natura non transitoria. Secondo l’ufficio studi di Confcommercio «l’inflazione che a gennaio sfiora il 5% delinea una situazione che non si risolverà a breve e con cui famiglie e imprese sono obbligate a confrontarsi» con effetti pesanti sulla crescita: «sebbene l’inflazione di fondo permanga su livelli gestibili, la crescita dei prezzi al consumo, deprime il potere d’acquisto, riducendo la crescita dei consumi e indebolendo la dinamica del Pil per l’anno in corso».
Confesercenti calcola inoltre che la corsa potrebbe accelerare in corso d’anno: «siamo di fronte ad una accelerazione che si registra da mesi e che, se da un lato è il risultato delle conseguenze dovute alla crisi sanitaria a livello internazionale, dall’altro all’emergenza sanitaria – che sembra in rallentamento – va ad aggiungersi quella economica con le nuove tensioni geopolitiche, i rincari energetici ed il blocco dei consumi». Per Confesercenti «siamo, purtroppo, in presenza di una nuova fase emergenziale, dopo la chiusura di un anno, il 2021, in ripresa. Lo scenario è radicalmente mutato: la corsa delle bollette non si ferma e rischia di trasferirsi sui prezzi, facendo schizzare l’inflazione al +5,6% prima della fine dell’anno. Aumenti insostenibili che peserebbero ulteriormente sul potere di acquisto dei cittadini e graverebbero sulle imprese già duramente colpite da due anni di pandemia, allontanando definitivamente la ripresa».
Per Lucio Poma, capoeconomista di Nomisma, «l’aumento dei prezzi dell’energia è strettamente connesso alla crescitadel prezzo del gas, il principale combustibile utilizzato per produrre energia elettrica nelle centrali termoelettriche. L’Italia vanta riserve di gas ancora non pienamente sfruttate che permetterebbero d’incrementare le estrazioni del prezioso gas. Tuttavia, ilPitesai, approvato l’11 febbraio, si muove nella direzione opposta: riducendo i metri cubi di gas estratto». Invece, quanto prima, è necessario, secondo il capo economista di Nomisma «incrementare l’attuale estrazione di gas dai giacimenti nazionali. Si tratta di un “trade-off” tra sostenibilità ambientale e crescita economica che, dato i prezzi stellari raggiunti dal gas, si risolve a favore della componente economica. Il gas aggiuntivo estratto dai nostri giacimenti potrebbe temporaneamente calmierare i prezzi energetici per molte imprese. Strutturalmente non risolverebbe la questione energetica, ma fornirebbe un sostegno alle imprese che rischiano, a fronte di una domanda consolidata, di non poterla soddisfare per il caro energia e i costi delle materie prime».
A livello locale, le cose vanno addirittura peggio del dato medio nazionale: a trainare la corsa dell’inflazione sono le Isole(+5,5%) e il NordEst (+5,4%), mentre è più “fredda” a NordOvest (+4,3%). Ancora peggio vanno i capoluoghi delle regioni e delle province autonome e nei comuni non capoluoghi di regione con più di 150.000 abitanti l’inflazione più elevata si osserva a Bolzano (+6,2%), Trento e Trieste (+5,9% per entrambe), mentre le variazioni tendenziali più contenute si registrano a Milano (+3,9%) e Torino (+3,8%).
In allarme sono i sindacati («un’inflazione al 5% “brucia” 80-90 euro di aumento contrattuale l’anno» dice il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri) e le associazioni dei consumatori. Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione NazionaleConsumatori, «l’inflazione a 4,8% significa per una coppia con due figli, un aumento del costo della vita pari a 1.711 eurosu base annua, 844 solo per Abitazione, acqua ed elettricità, 421 euro per i Trasporti, 270 per mangiare e bere. Per una coppia con 1 figlio, la maggior spesa annua è pari a 1.609 euro, 846 per l’abitazione, 367 per i trasporti, 242 per mangiare, in media per una famiglia il rialzo complessivo è di 1.387 euro, 794 per l’abitazione, 270 per i trasporti, 201 per il cibo e le bevande. Ma il primato della stangata spetta alle coppie senza figli con meno di 35 anni che, spendendo di più di quelle con figli per la casa, hanno un aggravio annuo di 1.789 euro, dei quali ben 1.000 per la sola abitazione».
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