L’inflazione non è un bene per nessuno, ma a qualcuno fa più male che ad altri: secondo l’indagine Mediobanca, a partire dai lavoratori, i cui stipendi non riescono a tenere il passo con la corsa dei prezzi. Diverso il caso per i fatturati delle aziende che battono l’inflazione al sul filo di lana, grazie ad aumenti a doppia cifra che scaricano, se non tutti, almeno buona parte degli aumenti dei costi sui consumatori, consentendo alla redditività di non dare segnali di affaticamento.
A quantificare questi fenomeni è l’ufficio studi di Mediobanca che ha analizzato come ogni anno i bilanci di 2.150 grandi e medie aziende industriali e del terziario, rappresentative di quasi la metà del fatturato industriale, manifatturiero e della distribuzione al dettaglio in Italia, rilevando come nel 2022 i ricavi nominali siano cresciuti del 30,9% consentendo a quelli reali, cioè depurati dall’inflazione, di apprezzarsi dello 0,6% e ai principali indicatori di redditività di crescere in modo sano, come dimostra il balzo del 26,2% registrato dagli utili.
A questa corsa al rialzo non hanno preso parte i lavoratori che, rileva l’indagine Mediobanca, risultano «la componente maggiormente penalizzata in termini di potere d’acquisto». La perdita viene stimata «intorno al 22%» per effetto di un costo medio unitario del personale cresciuto solo del 2%. Una piccola consolazione arriva invece dai dati sull’occupazione, salita dell’1,7% tra le 2.150 imprese del campione.
L’indagine Mediobanca analizza anche le analogie con un altro biennio di forte inflazione, il 1979-80, arrivando alla conclusione che oggi le aziende dispongono di «profili finanziari maggiormente adatti» a reggerne l’urto grazie a un debito e a oneri finanziari più bassi, a una migliore redditività e a un’incidenza più contenuta del costo del lavoro, che peraltro non gode più di quegli automatismi nel recupero dell’inflazione che quarant’anni fa ne fecero lievitare il costo del 16,9%, nonostante una riduzione degli organici dello 0,8%, a fronte del magro +3,5% del 2022, alimentato, tra l’altro, da crescita dell’1,7% dei dipendenti.
Se è vero che l’inflazione ha gonfiato i fatturati dell’industria, in particolare quella energetica, anche in termini reali i ricavi sono cresciuti, seppur di poco (+0,6%). Mentre a livello di redditività «non appare ravvisabile un effetto negativo sui margini che anzi, per un numero cospicuo di settori, sono migliorati nel 2022 rispetto al periodo pre-Covid». Il valore aggiunto è salito del 7,7%, il margine operativo netto del 21,9%, l’utile lordoprima delle componenti straordinarie del 9,6%, il ritorno sugli investimenti (Roi) è migliorato dal 6,5% al 6,9%mentre quello sul capitale (Roe) dal 6,4% al 7,7%.
A livello settoriale si sono messe in luce la moda, l’elettronica e la farma-cosmesi, con aumenti del fatturatoreale nell’ordine di almeno il 10%, mentre telecomunicazioni (-0,3%) e televisioni (-7,3%) hanno segnato il passo anche in termini nominali. Difficoltà a preservare la crescita reale è emersa nei settori energivori, mentre la filiera del “Made in Italy” (+3,8%) si è mossa ancora una volta bene e potrebbe fare ancora meglio se ci fossero politiche adeguate di valorizzazione e tutela internazionale delle denominazioni italiane.
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