L’impatto dei dazi Usa annunciato dal presidente Donald Trump avrà effetti limitati sull’economia italiana. Solo un terzo delle imprese italiane esporta negli Stati Uniti, pari a circa 34.000 aziende, e oltre il 50% del valore esportato è generato da imprese con più di 250 addetti, quindi più strutturate e capaci di assorbire gli shock.
L’Italia esporta verso gli Usa beni per il 10% dell’export complessivo, con una composizione di qualità elevata: il 43% dei prodotti è di fascia alta, il 49% di fascia media e solo l’8% è di fascia bassa, più sensibile al prezzo e all’impatto dei dazi Usa. Le imprese italiane generano in media il 5,5% del fatturato negli Stati Uniti, con un margine operativo lordo pari al 10%. È quanto sostiene il Centro studi di Unimpresa, secondo cui i dazi al 20-25% potrebbero causare una flessione dell’1% sul fatturato totale delle imprese esportatrici e una riduzione dei margini fino a 0,5 punti percentuali per il 75% delle aziende coinvolte.
I settori più esposti sono la farmaceutica (24% del valore aggiunto legato agli Usa), la cantieristica e l’aerospazio (15%), seguiti da mobili, elettronica, moda e autoveicoli (tra il 6% e l’8%). Più vulnerabili risultano le piccole imprese, con minore diversificazione e margini più bassi.
«È opportuno monitorare l’evoluzione della situazione, e valutare forme di sostegno mirato alle imprese più esposte, incentivando nel contempo la diversificazione dei mercati di sbocco. Il protezionismo di Trump è una sfida concreta, ma non necessariamente devastante per l’industria italiana – commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora -. La nostra forza sta nella qualità dei prodotti, nella solidità delle grandi imprese e nella capacità di adattamento del nostro tessuto produttivo. La priorità ora è non lasciare indietro le realtà più fragili, perché la tenuta complessiva passa anche da loro».
Nel complesso, il sistema manifatturiero italiano presenta elementi strutturali in grado di reggere l’urto della nuova ondata protezionista americana, almeno nel breve periodo. Tuttavia, non vanno sottovalutate alcune vulnerabilità specifiche: le Pmi con forte dipendenza dal mercato Usa carsa capacità di assorbire l’aumento dei costi; l’eventuale evoluzione della crisi in una guerra commerciale globale, con effetti a catena su domanda, mercati finanziari e catene del valore.
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