Il rincaro dell’energia colpisce l’industria italiana, il Covid frena i consumi di servizi

Indagine del Centro studi Confindustria che giudica a forte rischio il rialzo del Pil italiano ad inizio 2022. Anche la corsa dell’inflazione potrebbe consolidarsi. 

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La risalita del PIL italiano a inizio 2022 è a forte rischio e il balzo dell’inflazione sarà transitorio solo se si raffredderàil rincaro dell’energia che colpisce l’industria italiana, la cui produzione è attesa in flessione, e gli elevati contagi frenano i consumi di servizi, che vanno di nuovo giù.

Secondo il Centro studi Confindustria per gli investimenti le attese delle imprese sono diventate pessimiste, mentre il credito resta stabile e l’occupazione in recupero fino a novembre.

Risalita a forte rischio.

Ad inizio 2022 si sono fatte più fitte le nubi, addensatesi già a fine 2021 sulla risalita del PIL italiano, stimato in frenata nel IV trimestre. Con gli attuali prezzi abnormi dell’energia, i margini erosi, la scarsità di materie prime e l’aumento dei contagi, il rischio è che il PIL subisca uno stop nel I trimestre 2022: almeno -0,8% l’impatto del caro-energia sul PIL del 2022.

Industria: attesa flessione.

Lo scenario per la manifattura ha iniziato a peggiorare a dicembre: l’indice PMI è sceso (62,0 da 62,8), pur continuando ad indicare espansione; gli ordini reggono a fatica. Il costo insostenibile del gas (+723% a dicembre sul pre-crisi) e dell’elettricità in Italia, sommandosi ai rincari degli altri beni produttivi, sta causando temporanee chiusure di imprese nei settori energivori. L’impatto sulla produzione industriale in Italia sarà registrato tra dicembre e gennaio (dopo il +0,7% medio a ottobre-novembre).

Servizi e consumi di nuovo giù.

Il PMI dei servizi è calato a dicembre (53,0 da 55,9), segnale che la risalita sta frenando. Nel turismo il recupero fino a novembre era parziale (-25% dal 2019 i viaggi di stranieri in Italia) e ora la nuova ondata di contagi sta riducendo la mobilità delle famiglie (-22% in Italia a gennaio 2022). Ciò potrebbe frenare nuovamente le spese fuori casa, sebbene i limiti di legge restino moderati. Il recupero dei consumi (gap di -3,6% dal pre-crisi, tutto nei servizi) rischia di interrompersi.

Investimenti: attese pessimiste. 

Gli investimenti in Italia hanno rallentato già nel III trimestre 2021 (+1,6% da +2,4% nel 2°). Per il IV crollano i giudizi delle imprese sulle condizioni di investimento (saldo da +24,4 a +6,7), mentre le aspettative sulle condizioni economiche sono in caduta per il I trimestre 2022. Agiscono da freno sia i bassi margini, erosi dalle commodity, sia il contesto molto incerto, nonostante il traino esercitato da PNRR e incentivi (specie per le costruzioni).

Credito stabile.

I prestiti alle imprese italiane hanno frenato a +0,4% annuo a novembre, dopo il balzo nel 2020 (+8,3% a fine anno), sulla scia di una domanda stabilizzatasi nel II e III trimestre 2021. Non si vedono impatti sulle sofferenze bancarie, in calo fino a novembre, grazie anche alle cartolarizzazioni. Però, l’inizio dell’uscita della FED dalle misure espansive sta avendo un riflesso su tassi e spread nell’Eurozona, nonostante la BCE mantenga invariata la policy: il BTP è salito a 1,22% a gennaio (da 0,97%), pur restando basso e senza ancora conseguenze sul costo del credito (1,1% per le imprese).

Occupati in recupero.

Aumenta l’occupazione anche a novembre (+64.000 unità): non c’è quindi una frenata nel mercato del lavoro. Il numero di occupati, al minimo a gennaio 2021, ha recuperato quasi tutta la caduta (+700.000; ma -144.000 da fine 2019). I lavoratori dipendenti sono pressoché ai livelli pre-pandemia (-41.000 i permanenti, +79.000 i temporanei), mentre continua il calo degli indipendenti.

Export tra luci e ombre. 

A ottobre-novembre 2021 l’export italiano ha continuato a crescere (+2,2% in valore), sostenuto dalle vendite extra-UE (+2,6%) e intra-UE (+1,9%). Germania e USA, primi due mercati, sono quelli che più hanno contribuito a tale performance. La dinamica è positiva anche a prezzi costanti (+0,6%), ma più contenuta, dato il balzo dei prezzi (+1,7%). Ma lo scenario per inizio 2022 è molto incerto: accanto a una robusta ripresa della domanda estera, segnalata a dicembre dagli indicatori sugli ordini manifatturieri, permangono difficoltà nelle forniture e pressioni sui prezzi.

Eurozona: sfiducia e timore. 

Gli indicatori congiunturali mostrano un indebolimento delle prospettive economiche nell’Eurozona. L’Economic Sentiment segnala un’ulteriore flessione della fiducia (114,5 da 116,6), per il secondo mese, attribuibile ai timori per la pandemia in corso. Il PMI manifatturiero scende a 58,0 da 58,4 a dicembre 2021, quello dei servizi a 53,1 da 55,9, confermando il rallentamento dell’attività, in un contesto in tensione sul fronte energetico e delle catene di approvvigionamento.

Frenata negli USA.

La FED a dicembre ha tagliato ancora la previsione di crescita del PIL nel 2021-2023 (-0,5% cumulato). D’altra parte, il 2021 si è chiuso con una flessione inattesa della produzione industriale (-0,1%), confermando la frenata dopo il picco dell’estate. Visibile anche dal calo di PMI manifatturiero (57,7 a gennaio, da 58,3), ISM manifatturiero (57,5 da 61,1) e molti indici locali. Le vendite al dettaglio a dicembre sono scese (-1,9%), nonostante la disoccupazione tornata vicino ai livelli pre-pandemia (3,9%). Anche la fiducia dei consumatori è in discesa (indice del Michigan a 68,8 da 70,6).

Paesi emergenti avanti piano. 

Le manifatture delle economie emergenti chiudono il 2021 in fase stagnante (Brasile) o in lieve espansione grazie alla tenuta della domanda interna (Cina e Russia). Quella indiana è l’unica a crescere a ritmi più sostenuti, seppure in frenata a dicembre. La fiducia degli imprenditori è ovunque condizionata dal prolungamento della pandemia e dalle strozzature nelle filiere internazionali.

Preoccupa l’inflazione.

L’inflazione è salita inaspettatamente in tutte le economie avanzate: a inizio 2021 le previsioni erano di modesto aumento, a +1,7% nell’Eurozona. Invece, a dicembre 2021 è arrivata a valori più che doppi, e in aumento rispetto a novembre, segno che il picco non è stato toccato. La dinamica dei prezzi al consumo nell’Eurozona è del +5,0% annuo, la più alta dal 1996 (+2,7% la misura core, al netto di energia e alimentari), mentre negli USA ha raggiunto il +7,0% (indice CPI). In Italia l’inflazione resta più bassa, +3,9%, ma è il valore più alto dal 2008.

Andamento in crescita trainato dai prezzi energetici

Tale incremento riflette l’anomalo rincaro dell’energia, prima petrolio, poi gas. I prezzi di gas ed elettricità contribuiscono per più di 0,8 punti all’inflazione dell’Eurozona. In Italia il balzo dei prezzi dei beni energetici, +29,1% annuo a dicembre, ha spinto l’indice generale molto sopra quello core, che è rimasto, a fine 2021, su una dinamica simile al 2020 (+1,5%). L’impatto sulla spesa delle famiglie del rincaro dell’energia (pari all’8,3% del paniere dei consumi) è stimato in circa 5/6 miliardi di euro: ciò sottrae risorse alla spesa in altri beni e servizi, frenando i consumi. Negli USA, dove la fiammata è arrivata prima, il rincaro energetico ha pesato meno e si è ridimensionato negli ultimi mesi: lo scarto tra l’inflazione USA totale e core è infatti di +1,5 punti, contro il +2,4 in Italia.

Previsioni di calo nel 2022 legate ai prezzi dell’energia

L’inflazione già acquisita per il 2022 in Italia è del +1,8%: molto di più rispetto al 2021, quando si partiva quasi da zero. Le pressioni inflazionistiche, infatti, sono cresciute progressivamente nel corso del 2021 (da +0,8% nel 1° trimestre, fino a +3,9% nel 4°), determinando un “trascinamento” elevato per l’anno appena iniziato. Comunque, le previsioni dei principali istituti prospettano un’inflazione italiana nel 2022 in calo dal picco, in media al +2,3%, fluttuando tra un massimo di +3,5% secondo le stime di Banca d’Italia (di gennaio), e un minimo di +1,8% secondo lo scenario FMI (di ottobre). Anche le previsioni per l’Eurozona sono di rientro, in media al +2,6%, sopra il target del 2,0%, con un valore più alto proprio da parte della BCE (+3,2%). Per gli USA, il consenso indica un +4,1% medio, circa il doppio rispetto al target della FED.

In Italia, se si avvereranno le attese di parziale flessione dei prezzi energetici, sarebbe confermato lo scenario di rientro dell’inflazione, sui valori pre-Covid, nonostante la dinamica possa continuare a crescere nel breve termine. Al calo contribuirebbe la perdurante debolezza della domanda; il risparmio accumulato, che potenzialmente potrebbe affluire sui consumi, difficilmente verrà speso a breve, a causa della fiducia ridotta. Viceversa, le attuali pressioni sui costi e i nodi nelle catene del valore potrebbero in parte trasmettersi ai prezzi dei beni nel 2022. Insieme alla spinta ai prezzi implicita in alcuni processi in atto (transizione ecologica, PNRR), ciò potrebbe condurre a un’inflazione core strutturalmente più elevata.

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