Il Pnrr perde potenza: cala la spinta alla crescita del Pil dei paesi europei

Studio della Banca centrale europea. Per Spagna e Italia peggiorano le previsioni. Unimpresa analizza l'andamento della spesa.

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Si sgonfia la spinta alla crescita dal Next Generation Eu, il Pnrr, il maggior programma di finanziamento europeo visto finora, approvato nel 2020 per rendere i Paesi membri più robusti e competitivi dopo lo shock pandemico. Secondo la nuova edizione dello studio della Banca centrale europea a due anni dalla prima edizione, gli effetti sulla crescita economica interna del Pnrr risultano più bassi di quelli previsti in termini di Pil potenziale per Spagna e Italia, i due maggiori beneficiari, con ricadute anche sul debito: una tendenza da invertire con una corsa a mettere a terra gli investimenti e adottare le riforme del Pnrr a 18 mesi dalla sua scadenza.

L’indagine della Bce esamina gli effetti per la crescita legati allo stimolo fiscale da quasi 500 miliardi di euro; all’aumento di produttività tramite le riforme strutturali impegnate dai Pnrr; infine alla “compressione degli spread” grazie all’indebitamento comune, che «può aumentare permanentemente il Pil dell’area euro dello 0,2%, con benefici maggiori per Italia e Spagna», i due maggiori destinatari degli aiuti Ue.

Quello che ne esce è un quadro al di sotto delle aspettative, con rischio di un “flop” a programma concluso, ma anche un potenziale un colpo di reni, una corsa alle riforme e a investimenti produttivi, negli ultimi 18 mesi di vita del Pnrr, che termina a giugno 2026. Il colpevole di questa situazione è lo «slittamento di effetti attesi in precedenza, a fronte di ritardi nell’implementazione» delle riforme strutturali e della effettiva realizzazione degli investimenti previsti dai Pnrr nazionali. La conseguenza, messa nero su bianco dalle stime pubblicate dalla Bce, è che nel 2024 il Ngeu ha aumentato il Pil dell’area euro di appena lo 0,2% rispetto a uno scenario senza quel programma: meno della metà dello 0,5% inizialmente atteso. Davvero poco rispetto al totale della somma messa in campo a livello comunitario.

Il Pnrr – si legge nello studio della Bce – «ha il potenziale di aumentare il livello del Pil dell’area euro fra lo 0,4% e lo 0,9% entro il 2026, e fra lo 0,8% e l’1,2% entro il 2031». Numeri, finora, ben inferiori a quelli del precedente studio Bce, con grosso modo gli stessi autori, che nel 2022 stimava un aumento potenziale del Pil al 2026 «di circa l’1,5%». Per la Spagna quel precedente studio indicava un beneficio al 2026 «poco sotto il 3%» e «del 3,5% per l’Italia».

Il nuovo studio della Bce non quantifica revisioni sull’impatto complessivo del Pnrr per i due Paesi. Lo fa limitatamente agli effetti dello stimolo fiscale sul Pil: per l’Italia la stima precedente di un +1,4% sul Pil al 2026 è ora confermata solo nel caso di un elevato assorbimento dei fondi europei nel periodo 2024-2026: nel caso di un basso assorbimentocome è probabile, visto che dei 197 miliardi destinati all’Italia ne sono stati effettivamente spesi circa 50 – si fermerebbe allo 0,9%. Le conseguenze si vedono anche sul contributo atteso dal Pnrr nella riduzione del debito Pil, rivista a 7-8 punti percentuali per Italia e Spagna contro i 12 dello studio Bce del 2022, a fronte di «ritardi di implementazione» che «hanno portato a una significativa revisione al ribasso del Pil potenziale».

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Il Centro studi Unimpresa ha messo nero su bianco i numeri del Pnrr italiano. Il 2025 sarà l’anno più importante per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza in Italia, con una previsione di 56 miliardi di euro stanziati, pari al 28,8% del totale delle risorse destinate all’Italia. Se a questa cifra si aggiungono i 48,6 miliardi previsti per il 2026, il biennio finale concentra oltre 105 miliardi, rappresentando il 53,8% dell’intero Pnrr. Nel periodo 2020-2024 sono stati già stanziati 89,9 miliardi, pari al 46,2% delle risorse complessive, con investimenti significativi nella digitalizzazione e innovazione (18,8 miliardi, 70% del cronoprogramma per quella missione), nella rivoluzione verde (18,5 miliardi, 68%) e nelle infrastrutture per una mobilità sostenibile (8,9 miliardi, 87%).

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