Nel 2018 il mondo del vino italiano segna una notevole crescita del fatturato delle principali società italiane attive nel settore vinicolo, +7,5% rispetto al 2017. Un risultato importante, specialmente se confrontato con quello della manifattura (-7,2%) e dell’industria alimentare (-4,6%). Rispetto al 2013 l’incremento del fatturato è ancora più evidente (+27,1%), così come l’aumento dell’export (+31,9%) e del fatturato domestico (+22,4%).
Tra i comparti, il maggiore sviluppo nel fatturato lo registrano le cooperative (+9,2% sul 2017), trainate dal mercato interno (+13,6%). Le S.p.A. e le s.r.l. sono in crescita del 6,7% (+7,0% all’estero), mentre gli spumanti e i “vini non spumanti” cresconorispettivamente del 7,1% e del 7,6%, i primi grazie all’export (+7,2%) e i secondi spinti dalle vendite domestiche (+10,8%).
Bene anche l’occupazione, cresciuta del 3,7% sul 2017, con le S.p.A. e s.r.l. (+6,1%) e gli spumanti (+5,8%) davanti ai “vini non spumanti” (+3,4%). Meno netto l’incremento della forza lavoro per le cooperative (+1,6%). Sul fronte investimenti, il 2018 conferma la vivacità degli operatori, che registrano un +25,9% rispetto all’anno precedente. A distinguersi, in particolare, sono i “vini non spumanti” (+30,4%), seguiti dagli spumanti (+10,8%).
I dati relativi all’affidabilità creditizia confermano la solidità delle imprese vitivinicole: nel 2017 il 70% delle imprese ricade nella classe investment grade, il 28,6% in quella delle imprese intermedie e il residuo 1,2% in quella delle fragili.
Cosa si aspettano gli operatori per il 2019?
L’82,6% degli intervistati prevede di non subire un calo delle vendite; il 10,5% crede in un aumento del fatturato in doppia cifra e il 17,4% si aspetta una flessione dei ricavi. In generale permane un certo ottimismo anche se sembrano remote le possibilità di ripetere l’exploit del 2018. Le attese per l’export seguono la stessa prospettiva ma con più fiducia, specialmente tra i produttori di spumanti.
Le aziende vinicole al vertice in Italia…
Anche il 2018 incorona Cantine Riunite-GIV, che si riconferma prima per fatturato (€615 mln, +3,1% sul 2017), seguita da Caviro (330 milioni di euro, +8,6%) e dal primo gruppo non cooperativo, Antinori (230 milioni di euro, +4,5%). Ai piedi del podio Fratelli Martini (220 milioni di euro, +14,7%,) passato dalla quinta alla quarta posizione e Zonin (202 milioni di euro, +2,9%,). Botter (195 milioni di euro, +8,3%) è sesta, seguita da Cavit (+4,4%, 190 milioni di euro), stabile al settimo posto e Mezzacorona (188 milioni di euro, +1,9%). Chiudono la Top10 Enoitalia (182 milioni di euro, +7,6%) e Santa Margherita (177 milioni di euro +4,6%). Dieci società hanno realizzato nel 2018 un aumento dei ricavi a due cifre.
Cantine Ermes, che passa da 63 a 85 milioni di euro (+34,2%), è l’azienda vinicola cresciuta maggiormente nel 2018. A seguire Vivo Cantine (+19,8%, 102 milioni di euro) e Cantina Sociale Cooperativa di Soave (+19,2%, 141 milioni di euro).
Botter guida la classifica per quota di fatturato realizzato estero (95,4%), seguita da Farnese (94%), Ruffino (93%), Fratelli Martini (90%), Zonin (85,6%), Mondodelvino (82,5%) e La Marca Vini e Spumanti (81,8%). In generale, sono solo undici i gruppi che hanno una quota di export inferiore al 50%.
Anche per il 2018 le società toscane e venete sono in testa per redditività (utile sul fatturato) con Antinori al 25%, Santa Margherita al 17%, Frescobaldi al 16,7%, Masi all’11% seguite da Botter (9,1%), Ruffino (8,6%) e Mionetto (5,4%).
…e a livello regionale
Secondo lo z-score (un indice che misura la bontà dei bilanci) basato sui dati 2017, le venete Mionetto e Botter offrono le migliori performance, davanti alla toscana Ruffino. A seguire, Vinicola Serena, Frescobaldi, Cantine Ermes e Farnese. Nelle prime dieci posizioni figurano cinque società venete, due toscane, una siciliana, una abruzzese e una piemontese.
Complessivamente le società piemontesi battono la concorrenza, soprattutto sotto il profilo reddituale (Roi all’8,6% contro il 6,6% nazionale; Roe al 12,1% contro 7,2%). Bene anche le venete e le trentine, al di sopra della media nazionale. Le toscane (Roi e Roe al 7,3%) sono patrimonialmente più solide (debiti finanziari al 37% dei mezzi propri contro 69,4%), più efficienti (costo del lavoro per unità di prodotto al 46,8% contro 58%) e più vocate all’export (63,6% contro 52,4%).
Quali sono i canali distributivi più utilizzati?
Domina la Grande Distribuzione Organizzata (Gdo), che interessa il 38,8% delle vendite. Seguono l’Ho.Re.Ca. (17,1%), grossisti e intermediari (15%) e la rete diretta (12,3%). Sui mercati esteri non ha rivali l’intermediario importatore (75%), evidenziando un punto di potenziale debolezza nel presidio diretto delle vendite.
Com’è ripartito l’export?
Le aziende vinicole italiane segnano all’estero un incremento delle vendite pari al 5,3% sul 2017. Cresce l’export in Asia (+42,2% sul 2017, per un totale pari al 5,7% del fatturato estero), in Sud America (+11,9%, l’1,6% del totale) e in Nord America (+3,9%, 32,3% del totale). È però nei Paesi UE dove si concentra gran parte dell’export (+5,6%, 52% del totale). In flessione le performance nel resto del mondo (Africa, Medio Oriente e Paesi Europei non UE rappresentano l’8,4% del totale, -12,5% sul 2017).
I principali Paesi stranieri di cui i produttori italiani temono maggiormente la concorrenza sono Francia e Spagna con una quota del 25,7% ciascuno e Cile (12,1%); seguono USA (7,9%), Australia (7,1%), Germania (3,6%). Le prime nazioni nelle quali i nostri produttori vorrebbero esportare e/o incrementare la propria presenza sono: Cina (7,7%), Messico (6,8%), Australia (6,0%), India (5,1%); a seguire Argentina, Brasile, Canada e Russia con il 4,3%. Le esportazioni in Cina si attestano mediamente attorno all’1,9%, con quota massima pari al 10%. Le principali difficoltà di accesso ai mercati esteri incontrate dagli imprenditori sono: concorrenza sul prezzo (50,8%), dipendenza da intermediari stranieri (32,8%), ostacoli normativi e linguistici (9,8%) e concorrenza sulla qualità (6,6%). Il 37,7% degli intervistati vede nella produzione ecosostenibile il principale driver futuro del vino. Seguono l’appeal del confezionamento con il 34,8% e il miglioramento della qualità del prodotto con il 27,5%.
Caratteristiche dei vertici aziendali
Complessivamente i vertici aziendali delle 116 aziende non cooperative sono composti da 421 membri, per una consistenza mediana per ogni vertice pari a tre membri. I componenti del consiglio a maggiore longevità (Over73) rappresentano il 17,8% delle posizioni, mentre i “Baby Boomers”, con età compresa tra i 54 e i 73 anni, sono la fascia generazionale più rappresentata (44,4%). I nati tra il 1966 e il 1980 (“Generazione X”) coprono il 33,5% delle cariche. Scarsa la presenza dei “Millennials” (1981-1995) con il 4,3%.
Il 59,5% delle imprese ha un amministratore delegato appartenente alla famiglia proprietaria; il 48,6% dichiara la presenza di membri indipendenti nel consiglio di amministrazione. Circa le competenze necessarie all’azienda spicca l’esigenza di adeguate figure manageriali (50%), commerciali (32,5%), tecniche ed enologiche (12,5%) e finanziarie (per un marginale 5%).
Le 14 maggiori società internazionali del vino
I 14 maggiori produttori internazionali quotati hanno realizzato nell’insieme un fatturato pari a 5,7 miliardi di euro (+1,2% sul 2016), con il contestuale miglioramento delle incidenze dei margini industriali sulle vendite: Mol (ebitda) al 18,9% e Mon (ebit) al 15,1%. Per confronto, le 103 vinicole italiane non cooperative hanno segnato nel 2017 un aumento del fatturato del 6,6% e margini sul fatturato pari al 12,9% (Mol) e al 9,3% (Mon). Il Roe è stato pari al 9,9% (8,6% le italiane), mentre la struttura finanziaria evidenzia un rapporto tra debiti e mezzi propri pari al 50,8% nel 2017, molto simile al 53,2% degli operatori italiani. Cala, invece, l’occupazione (-2,4%).
I più recenti rendiconti infrannuali relativi al 2018 evidenziano un rialzo del fatturato complessivo del 5,8%, con incrementi generalizzati a tutte le società.
La neozelandese Delegat’s Group (Mon sul fatturato al 30,2%) strappa a Yantai Changyu (28,9%) la prima posizione per margine industriale.
Il vino e la Borsa
Dal gennaio 2001 l’indice di Borsa mondiale del settore è cresciuto del 354,1%, più delle Borse mondiali (+163%). La migliore performance in termini relativi (ossia al netto delle dinamiche delle Borse nazionali) è segnata dalle società del Nord America (+359%), seguite dall’Australia (+117%) e dalla Francia (+71%), mentre in altri Paesi le società vinicole hanno reso meno della Borsa nazionale soprattutto in Cile (-22,2%) e in Cina (-78,7%).
Tra marzo 2018 e marzo 2019 la capitalizzazione delle società quotate è diminuita del 17,6%, risultando composta per il 59,9% dalle società nordamericane (- 20,9% sul 2018), per il 15,1% dalle australiane (- 11,3%) e per l’8% dalle cinesi (-23%). Constellation Brands è la società con la capitalizzazione più elevata (€28,1 mld, -20,9%). Due le quotate italiane: IWB – Italian Wine Brands e Masi Agricola, la cui capitalizzazione era, a metà marzo 2019, complessivamente pari a 206 milioni di euro. Le 10 società inserite nella sezione Elite di Borsa Italiana si segnalano per l’elevata incidenza dell’export sul fatturato (pari al 73,4%, contro il 56,2% per le 103 società non cooperative).
Ai seguenti collegamenti sono scaricabili i materiali completi sull’indagine sul vino (link 1 e link 2).
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