Anche il mondo del vino, storico traino per l’export del “Prodotto in Italia”, comincia a fare i conti con il caro energia che potrebbe portare nei bilanci delle cantine italiane una falla da quasi 1,5 miliardi di euro.
A lanciare l’allarme l’indagine dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly compiuta nell’ultima settimana su un panel in rappresentanza del 30% del mercato. Ne emerge che l’incremento dei listini stimati dall’Osservatorio nei primi nove mesi 2022 è del 6,6%, insufficiente per coprire una variazione al rialzo dei prezzi che le imprese hanno richiesto nell’ordine dell’11%. Il differenziale equivalente è pari a 600 milioni di euro di costi non coperti da ricavi che il vino italiano è costretto a sostenere per rimanere sul mercato internazionale.
Per il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, occorre «consolidare con un patto di filiera tutte le dinamiche che possano produrre un effetto cuscinetto a garanzia di competitività e mercato. Produttori, industriali, cooperative e distributori dovranno assorbire parte degli aumenti per non scaricarli completamente sui consumatori ed evitare una pericolosa depressione dei consumi».
Nella crisi globale a rimetterci più di tutte dal caro energia sono le piccole imprese che producono, vinificano e imbottigliano tutto, o quasi, in casa propria. Diverso l’impatto sulla fascia premium, non solo perché in grado di assorbire meglio le variazioni, ma anche in virtù di un mercato maggiormente disposto ad accettare le richieste di aumento dei listini.
A certificarlo i dati presentati dall’Ufficio Studi di Fipe Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi che sottolinea come a beneficiare della riapertura, post-pandemia, dei ristorantisono i prodotti di maggior pregio. Del resto l’analisi Mediobanca sulle società vitivinicole evidenzia che le vendite di vini premium sono cresciute del 14,5% in valore assoluto, i super premium addirittura del 24,5%, gli ultra premium del 32,7% e gli “icon” (bottiglie dal costo per il ristoratore superiore ai 50 euro) del 33,2%.
Nel complesso, il 98% dei ristoratori ha registrato una crescita dei prezzi di acquisto del vino: in media, stima l’analisi Fipe, di un +12%. Ma oltre ai prezzi anche la crisi pandemica ha suggerito di modificare la gestione della cantina. Il 55,5% dei ristoratori ha ridotto i quantitativi acquistati, mentre il 29,9% ha deciso di limitare il numero di etichette presenti in cantina e dunque in carta. In generale, si predilige l’acquisto di vini il cui costo varia tra le 5 e le 20 euro, con una spesa media a bottiglia da parte dei gestori di circa 17 euro.
Il 73,9% dei ristoratori italiani seleziona le bottiglie da tenere in cantina sulla base delle regioni dei vitigni: Trentino Alto Adige, per i vini bianchi, Toscana per i rossi e Puglia per i rosè. Complessivamente, conclude Fipe, gli italiani scelgono in gran parte vini sulla base del territorio di provenienza (68,2%), apprezzano particolarmente le etichette certificate “bio” (42,2%), ma tengono anche sempre più d’occhio il prezzo della bottiglia (48,9%)
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