Gli effetti sul Pil Italia dei dazi Usa e del Dfp

Rischi di ribasso, mentre le stime collimano con quelle appena aggiornate del governo. I dazi valgono lo 0,2% del Pil nazionale.

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Le previsioni degli effetti sul Pil del Documento di finanza pubblica 2025 pari a 0,6% per il 2025 e 0,8% per i due anni successivi, «sono in linea con l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) per quanto riguarda l’anno in corso; per il successivo triennio invece le attese dell’Upb sono più caute, per uno stimolo della domanda interna lievemente inferiore alle stime del ministero dell’Economia e delle Finanze. La crescita cumulata del Pil 2025-28 raggiunge 3,0 punti percentuali nello scenario del ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre per l’Upb sarebbe più contenuta (al 2,7 punti percentuali)» ha detto la presidente dell’Upb, Lilia Cavallari, nel corso dell’audizione alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato sul Documento di finanza pubblica.

L’economia italiana nel 2024 «ha registrato una crescita moderata (0,7%) e inferiore a quella dell’area dell’euro per la prima volta dal 2021; il primo trimestre di quest’anno ha visto, secondo stime dell’Upb, una modesta accelerazione, allo 0,25%, dopo sei mesi in sostanziale stagnazione – prosegue Cavallari -. I rischi sono orientati al ribasso e sono prevalentemente riconducibili a fattori geopolitici, il protezionismo e i conflitti, oltre che alla gestione dei rilevanti progetti d’investimento; in particolare, sul Pnrr data l’elevata concentrazione di interventi nel 2026 non si può escludere che una parte delle opere possa essere differita».

Per Cavallari «d’altro canto, la domanda aggregata in Europa potrebbe essere sospinta da nuovi programmi di riarmo. Sul fronte finanziario i mercati resteranno molto volatili a causa dell’incertezza globale, quindi anche il sentiero di allentamento monetario delle banche centrali si fa piu’ imprevedibile. Infine, ma non meno importante, prosegue la tendenza al riscaldamento globale, che aumenta gli eventi meteorologici estremi con impatti negativi sui prezzi e sul tessuto produttivo».  

Passando all’effetto dei dazi Usa sull’economia italiana, questo rischia di zavorrare il Pil di due-tre decimi di punto nel 2025. Con ricadute anche sul lavoro, che potrebbero tradursi in 68.000 occupati in meno. E un pericolo di delocalizzazione concreto che coinvolge un migliaio di imprese. La previsione è frutto di diversi organismi istituzionali, che di fronte alle incertezze poste dalle nuove mosse dell’amministrazione Usa provano a tradurre in numeri le possibili ripercussioni per l’economia italiana.

Il tema dei dazi domina le audizioni sul Documento di finanza pubblica (Dfp) perché questa variabile rischia di scombussolare le stime di crescita che il governo ha appena rivisto al ribasso (+0,6% quest’anno e +0,8% i prossimi due). L’eventuale perdurare dell’incertezza e un aumento delle tensioni commerciali avrebbero sulla crescita del Pil un impatto negativo di 2 decimi di punto nel 2025 e di tre decimi nel 2026, stima l’Istat, che parla di una «valutazione parziale e soggetta alla difficoltà di ipotizzare non solo l’evoluzione delle principali variabili esogene ma anche la risposta di politica economica e commerciale da parte di governi e banche centrali».

Una previsione non molto diversa da quella formulata dal Centro studi di Confindustria: con i dazi al 20%, la crescita del Pil sarebbe contenuta allo 0,3% nel 2025 e 0,6% nel 2026. Viale dell’Astronomia definisce le tariffe un «terremoto nelle filiere produttive globali» e mette in guardia anche dal rischio «concreto di delocalizzazione»: in ballo ci sono un migliaio di grandi imprese, che danno lavoro a 1,5 milioni di addetti. Ma tenendo conto anche degli effetti indotti, i dazi impatteranno «su quasi tutti i settori dell’economia italiana», avverte l’Ufficio parlamentare di bilancio, «con una perdita a livello aggregato di valore aggiunto nell’ordine di tre decimi di punto percentuale» e in termini di occupazione un effetto quantificabile «in circa 68.000 occupati totali in meno».

A risentire maggiormente, secondo le simulazioni dell’Upb, sarebbero i settori farmaceutico, attività estrattive, automotive, prodotti chimici, attività metallurgiche e fabbricazione di macchinari. In prospettiva gli effetti dei dazi peseranno sull’economia europea e su quella italiana, osserva la Banca d’Italia. La qualità elevata dei beni che vendiamo negli Stati Uniti e gli «ampi margini di profitto» di alcune imprese «potranno attenuarne temporaneamente l’impatto», ma sempre secondo la Banca d’Italia, non si è ancora al sicuro: «un contraccolpo sarà inevitabile se vi sarà un forte rallentamento del commercio mondiale».

Un quadro di incertezza in cui l’Italia, proprio per raggiungere gli obiettivi di crescita, «non può però permettersi di abbandonare gli obiettivi del Pnrr», è il monito della Corte dei Conti. Mentre da più parti vengono messi in luce i ritardi che rischiano di comprometterne la piena realizzazione entro il 2026.

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