Fusione nucleare, l’industria chiede nuove regole all’Ue

Roveda (Efa): «è cruciale attrarre investitori». Nasce la newco Enel-Ansaldo-Leonardo.

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Fusione nucleare

Nuove regole per riuscire ad attrarre gli investitori nel settore dell’energia da fusione nucleare e diventare competitivi a livello internazionale: lo chiede l’industria impegnata in questa nuova frontiera dell’energia pulita, nell’evento ministeriale inaugurale del Gruppo Mondiale per l’Energia da Fusione organizzato dalla Farnesina a Roma.

Serve una nuova visione, diversa da quella propria del mondo della ricerca e che finora è stata prevalente nelle attività volte alla fusione nucleare, ha osservato Milena Roveda, amministratore delegato di Gauss Fusion e presidente della European Fusion Association (Efa), l’associazione di industrie europee che si è costituita recentemente a Bruxelles per accelerare i tempi sulla realizzazione della fusione come motore per l‘indipendenza energetica e per la stessa economia europea.

Nuove regole, ha detto Roveda, sono necessarie sulla proprietà intellettuale, «dove le esigenze della ricerca sono molto diverse rispetto a quelle dell’industria» e trovare una mediazione è «particolarmente importante alla luce della collaborazione tra privato e pubblico. È un tema, questo, che al momento non è stato risolto, ma non possiamo continuare a lavorare così – ha aggiunto – se vogliamo attirare il capitale privato». Se gli istituti di ricerca non propongono un’eventuale condivisione dei brevetti, «i finanziatori privati non ritengono questa soluzione affidabile», ha detto ancora Roveda.

Accelerare gli investimenti privati in Europa è particolarmente importante considerando che nel mondo gli investimenti sulla fusione nucleare ammontano a 7 miliardi e, «considerando anche la Gran Bretagna, in Europa si investe circa il 10% di questi 7 miliardi. Nonostante l’Europa abbia scienziati, centri di ricerca e industrie, gli investimenti privati – ha osservato Rovedanon sono arrivati, mentre sono numerosi negli Stati Uniti».

Il Cern è un esempio virtuoso di collaborazione a livello europeo: «come ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Lyen, nella cerimonia per i 70 anni del Cern, nessun Paese europeo sarebbe stato in grado di fare un acceleratore di particelle da solo e io penso che nessun Paese europeo, da solo, sarebbe in grado di fare un impianto a fusione» sottolinea Roveda. Per questo è necessario un dialogo aperto anche con Iter, la grande collaborazione internazionale che sta realizzando il reattore sperimentare a fusione Iter a Cadrache in Francia.

«Fino a pochi anni fa l’industria era solo il fornitore di questo progetto gestito dalla scienza e nel quale l’industria è stata coinvolta troppo tardi. I fisici hanno fatto i piani sulla carta e quando è arrivata l’industria ha constatato che sarebbe stato impossibile realizzare alcuni aspetti. La conseguenza è stata un ritardo perché si è dovuto iniziare tutto da capo coinvolgendo l’industria. Adesso – ha proseguito Roveda – fra Iter e le aziende c’è un dialogo aperto, una collaborazione nuova nella quale l’industria ha un ruolo propulsivo per accelerare la realizzazione della fusione nucleare. Per questo è nata un’associazione come l’Efa e stiamo aprendo le porte a tutte le aziende europee attive nel settore, dopodiché cominceremo a organizzarci in gruppi di lavoro».

Se la fusione nucleare è l’energia del domani, l’Italia punta a diventare un hub dell’energia da fusione nucleare. Il governo Meloni ha invertito la strada, e lavora a una newco a sostegno pubblico per il rilancio del settore. Sono stati avviati dialoghi di «carattere bilaterale» con Enel, Leonardo e Ansaldo, conferma il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin.

Per il commissario europeo uscente per l’Energia, Kadri Simson, la fusione nucleare «è un percorso che nessun Paese, organizzazione o privato può fare da solo», ricordando che l’Ue «ha investito 5,6 miliardi di euro sul programma Iter». L’orizzonte della fusione nucleare è ambizioso. «Io dico che serviranno 5-6, forse 10 anni», nota il direttore generale dell’Aiea, Rafael Mariano Grossi, senza sbilanciarsi sui tempi per arrivare a produrre su larga scala energia da fusione nucleare: «dipende dal livello degli investimenti e da fattori imprevedibili. La novità è l’interesse del privato, con investimenti importanti in Stati Uniti e in Europa».

Intanto Gossi nota «l’approccio diverso, più dinamico» del governo Meloni, definendo l’Italia «il Paese più nucleare dei Paesi non nucleari».

«Abbiamo impresso una svolta sul nucleare pulito e sicuro – rimarca il ministro degli Esteri, Antonio Tajani – perché concilia crescita, politica industriale e lotta al cambiamento climatico». Giorgia Meloni – dice nel messaggio letto dal sottosegretario Alfredo Mantovano – che «l’energia da fusione abbia le potenzialità per garantire la sicurezza energetica». E la strategia punta sul partenariato pubblico-privato, la stessa direzione della newco (che sarebbe partecipata dal Mef) e «dovrebbe avere un ruolo industriale importante sul sistema», come spiega Pichetto Fratin, affermando guardando al futuro che potrebbero non essere necessari incentivi per attrarre investimenti in questo settore: «la speranza è che la competitività porti a una condizione tale che non sarà necessario intervenire con integrazioni pubbliche sul sistema».

L’accelerazione italiana è legata anche al fatto che «i giovani hanno superato il problema della paura nucleare», sostiene Stefano Buono, amministratore delegato e fondatore di Newcleo, che lavora alla progettazione, costruzione e gestione di reattori modulari avanzati quarta generazione, raffreddati con piombo liquido e alimentati da scarti nucleari riprocessati. Strutture di dimensioni tali da poter essere installati su piattaforme petrolifere offshore (obiettivo di un recente accordo con Saipem), accanto a fabbriche energivore o persino a bordo di navi portacontainer come propulsori (scopo della collaborazione con Fincantieri e Rina).

 

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