La Fipe lancia l’allarme bar: secondo i dati riferiti dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi, il numero delle imprese che svolgono attività di bar è diminuito di circa 15.000 unità dal 2012 a oggi, mentre sono almeno 10.000 quelle che ogni anno cessano l’attività. Il tasso di sopravvivenzaa cinque anni dei bar italiani, dunque, non arriva al 50%.
Secondo la Fipe, i caffè e i bar hanno seguito passo passo l’evoluzione delle abitudini e dei costumi italiani negli ultimi due secoli e mezzo. Da luogo privilegiato per la colazione e per la pausa caffè di metà mattina a punto di riferimento, a partire dagli anni ’90, per il pranzo veloce di mezzogiorno di milioni di lavoratori impiegati nell’economia terziaria. In seguito, essi sono diventati luogo di convivialità nella pausa serale dedicata all’aperitivo, spesso in alternativa alla tradizionale cena, con l’apericena.
Nel settore lavorano oltre 300.000 persone con una diffusione territoriale di due imprese ogni mille abitanti (9 comuni su 10 hanno almeno un bar) e con apertura sette giorni su sette per una media di 14 ore giornaliere. Numeri sconosciuti ai percettori del reddito di cittadinanza. Si registra in aumentola presenza di imprenditori stranieri, con particolare riguardo per la comunità cinese. Sono oltre 12.000 (il 12,2% del totale) i bar gestiti da stranieri con punte che, in alcune regioni come la Lombardia, sfiorano il 20% o addirittura lo superano come in Veneto e in Emilia Romagna.
«Stanno in questi numeri – dichiara Matteo Musacci, vicepresidente Fipe Confcommercio -, le difficoltà che attraversa il format bar, stretto nella morsa di una competizione sempre più sfrenata e di un modello di gestione che riesce a conciliare costi e ricavi solo attraverso enormi sacrifici personali di chi ci lavora, soprattutto se si tratta del titolare e dei suoi familiari. Tenere in piedi un’azienda che deve pagare stipendi, canoni di locazione esagerati e attualmente bollette fuori controllo, con caffè e cappuccini al prezzo di poco più di un euro sta diventando sempre più difficile».
«Se a questo aggiungiamo – prosegue Musacci – che anche muovere i listini per adeguarliall’inflazione è complicato, il rischio che i conti non tornino è evidente. Occorre ripensare il modellodi business partendo dal presupposto che tenere aperto sette giorni su sette per oltre 14 ore al giorno non sempre è economicamente sostenibile. Ed aggiungo che non lo è anche guardando alla sfera personale di chi, come capita a molti di noi piccoli imprenditori, è costretto a garantire una presenza continua sacrificando vita personale e affetti».
Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “Il NordEst Quotidiano”, iscrivetevi al canale Telegram per non perdere i lanci e consultate i canali social della Testata.
Telegram
https://twitter.com/nestquotidiano
https://www.linkedin.com/company/ilnordestquotidiano/
https://www.facebook.com/ilnordestquotidian/
© Riproduzione Riservata