Economia italiana sempre più in rallentamento

E il rischio di recessione è sempre più concreto con tutte le conseguenze dal caso. L’Italia più di reddito di cittadinanza e di pensioni anticipate, ha bisogno di meno tsse e più investimenti sul rilancio infrastrutturale. 

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Nella sua nota mensile, l’Istat analizza le condizioni economiche internazionali e interne traendone un bilancio sulle prospettive immeditate per il futuro dell’Italia che evidenzia un andamento di deciso rallentamento dell’economia italiana.

L’economia internazionale ha mostrato evidenti segnali di decelerazione con un maggiore grado di eterogeneità degli andamenti tra i paesi. Tra i fattori di rallentamento ci sono l’incertezza generata dal processo ancora incompiuto di Brexit e gli effetti delle perduranti tensioni sui dazi tra Stati Uniti e Cina. In Italia, il recente andamento del settore manifatturiero conferma la fase di difficoltà di tenuta dei livelli produttivi.

L’occupazione si è mantenuta sui livelli dei mesi precedenti e il tasso di disoccupazione ha segnato una lieve diminuzione. Sebbene il tasso di occupazione sia tornato sui livelli pre-crisi, soprattutto per effetto del significativo aumento di occupati temporanei, il processo di riduzione della disoccupazione appare ancora lento.

La riduzione dei prezzi dei beni energetici ha contributo al forte rallentamento dell’inflazione italiana e di quella dell’area dell’euro. Il differenziale rimane a nostro favore in tutti i principali raggruppamenti, ad eccezione dell’energia.

A dicembre, l’indice del clima di fiducia dei consumatori ha segnato un ulteriore calo diffuso a tutte le componenti: le aspettative per il futuro hanno registrato la diminuzione più sostenuta e le attese sulla disoccupazione sono aumentate. Nello stesso mese, anche la fiducia delle imprese è peggiorata in tutti i settori economici a esclusione del commercio al dettaglio. L’indicatore anticipatore ha segnato una nuova flessione, suggerendo il proseguimento dell’attuale fase di debolezza del ciclo economico italiano.

Entrando nel dettaglio della ricerca sula congiuntura italiana, dopo la flessione congiunturale segnata dal Pil nel terzo trimestre (-0,1%), a novembre l’indice della produzione industriale ha confermato la persistenza di una fase di debolezza dei livelli di attività (-1,6% rispetto al mese precedente). Sebbene il risultato possa essere stato condizionato dall’effetto “ponte”, connesso con il posizionamento nel calendario della festività del primo novembre, la variazione congiunturale trimestrale per il periodo settembre-novembre (-0,1%) segnala un contesto di debolezza produttiva. Il risultato trimestrale sintetizza la tonicità dell’andamento dei beni di consumo (+1,2%) e la flessione degli altri comparti (-0,9% per i beni strumentali, -0,4% per i beni intermedi e -0,3% per l’energia).

Nel trimestre agosto-ottobre, gli ordinativi, espressi in termini nominali, hanno segnato un incremento (+0,5% rispetto al trimestre precedente) riflettendo l’andamento positivo della componente estera (+3,3% per effetto del forte aumento di agosto) rispetto a quella del mercato interno (-1,5%).

L’aumento delle esportazioni è da attribuire prevalentemente al marcato incremento delle vendite verso i mercati extra Ue (+5,3%, +0,4% quello verso l’area Ue), che a novembre hanno segnato un ulteriore miglioramento (+0,7%). La crescita delle esportazioni è stata diffusa a quasi tutti i raggruppamenti di industrie, con l’eccezione dei beni di consumo non durevoli (-3,6%) e dei beni intermedi (-1,2%). Dal lato delle importazioni (-1,3%), la flessione è stata particolarmente marcata per i beni di consumo durevoli (-3,6%) e l’energia (-2,6%).

A ottobre la produzione nelle costruzioni ha registrato un brusco rallentamento ma la media per il trimestre agosto-ottobre è diminuita con una intensità contenuta (-0,3%) rispetto al trimestre precedente. A partire dal secondo semestre del 2017 l’evoluzione dell’indice di produzione delle costruzioni si accompagna a quella dell’indice dei prezzi delle nuove abitazioni, mostrando una contenuta dinamicità, mentre per i prezzi delle abitazioni esistenti permane la fase di debolezza.

Nel terzo trimestre, gli investimenti delle società non finanziarie hanno mostrato una intonazione ancora positiva (+0,2% rispetto al trimestre precedente) determinando un aumento del tasso di investimento, definito come rapporto tra investimenti fissi lordi e valore aggiunto a prezzi base (+0,1 punti percentuali). Nello stesso periodo si è però ridotto il risultato lordo di gestione (-2,4%) e conseguentemente la quota di profitto (-0,9 punti percentuali).

Quanto alle famiglie e al mercato del lavoro, nel terzo trimestre 2018, il reddito disponibile lordo delle famiglie consumatrici è, in termini nominali, cresciuto lievemente sui tre mesi precedenti (+0,1%). L’aumento più sostenuto della spesa per consumi finali (+0,3%) ha determinato una flessione della propensione al risparmio (-0,2 punti percentuali). Il miglioramento dei consumi potrebbe estendersi anche al quarto trimestre. A novembre i volumi delle vendite al dettaglio hanno mostrato infatti un significativo miglioramento congiunturale (+0,7%) sostenuti dalla spesa per beni non alimentari (+1,0%). Anche il dato riferito al trimestre settembre-novembre segnala un aumento (+0,2%).

A novembre, il mercato del lavoro ha evidenziato una stabilità del tasso di occupazione (58,6%) e un lieve miglioramento del tasso di disoccupazione (10,5%, -0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente). Questi risultati confermano la tendenza segnata nel 2018, caratterizzata da un aumento del tasso di occupazione, più accentuato nel secondo trimestre, e una riduzione graduale del tasso di disoccupazione.

Confrontando la media del periodo gennaio-novembre 2018 con quella del 2008, il tasso di occupazione risulta in linea con il dato pre-crisi (-0,1 punti percentuali) mentre il tasso di disoccupazione è ancora significativamente superiore (+3,9 punti percentuali).

Sebbene l’alto livello del tasso di disoccupazione sia accompagnato da un aumento del tasso di attività, la sua riduzione procede a una velocità inferiore a quella della zona euro: nel periodo novembre 2017-novembre 2018, la disoccupazione dell’area euro è diminuita di 0,8 punti percentuali mentre quella italiana di 0,5 punti percentuali, aumentando così il gap esistente.

Nel corso dell’anno, la ripresa del tasso di occupazione si è comunque accompagnata al rafforzamento delle dinamiche in atto rispetto alla ricomposizione per posizione professionale e carattere dell’occupazione. Rispetto alla media del 2008, nei primi 11 mesi del 2018 la quota di occupati indipendenti è diminuita di 2,6 punti percentuali. Il corrispondente aumento della quota di occupati dipendenti ha riflesso la forte ricomposizione tra quelli a termini, la cui quota è in significativo aumento rispetto al 2008 (+3,2 punti percentuali), e quelli permanenti, la cui quota si è ridotta con intensità più sostenute a partire dal secondo trimestre del 2018 (-0,7 punti percentuali).

L’andamento dell’economia ha avuto ripercussioni anche sull’andamento della formazione dei prezzi. Gli effetti della rapida caduta delle quotazioni internazionali del petrolio nei mesi finali dell’anno hanno influenzato rapidamente l’andamento dei prezzi al consumo. Secondo le stime preliminari, a dicembre l’indice per l’intera collettività nazionale (NIC) ha registrato un incremento su base annua dell’1,1%, mezzo punto percentuale in meno rispetto a novembre. La debolezza della fase ciclica e gli effetti del rallentamento dei prezzi all’importazione hanno contribuito a determinare una situazione di bassa intensità inflativa: l’inflazione di fondo (calcolata escludendo le due componenti più volatili, energetici e alimentari non trasformati) è scesa (+0,6%) a un ritmo leggermente inferiore a quello medio degli ultimi sette mesi. In rallentamento anche i prezzi dei servizi, che hanno scontato gli effetti dei minori costi per i trasporti, mentre per i beni non alimentari e non energetici è proseguita la fase deflativa.

I ribassi dei corsi petroliferi hanno guidato anche il rientro dell’inflazione nell’area dell’euro, pur se in misura appena più contenuta rispetto all’Italia (+1,6% a dicembre rispetto al +1,9% di novembre). Il differenziale rimane a nostro favore in tutti i principali raggruppamenti, a eccezione dell’energia. Come di consueto, nelle fasi di riduzione dei costi energetici, in Italia la trasmissione ai prezzi del comparto è risultata più moderata (3,6 punti percentuali in meno rispetto a ottobre la crescita tendenziale in Italia, a fronte dei 5,2 punti per l’area nel suo insieme).

Per i beni industriali non energetici le sollecitazioni dalle fasi a monte della distribuzione finale non hanno mostrato profilo e intensità sostanzialmente differenti rispetto al recente passato. A ottobre, i prezzi all’importazione (+5,5% la crescita annua) hanno risentito ancora dei rincari delle quotazioni petrolifere e del contestuale deprezzamento del cambio dell’euro rispetto al dollaro. Per i beni di consumo non alimentari è però proseguita la fase deflativa, con prezzi inferiori dello 0,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A livello di produzione, a novembre si sono manifestati i primi segnali di indebolimento dei costi energetici: per i prodotti industriali destinati al mercato interno la dinamica inflativa ha rallentato al +5,7% (+1,0% al netto dell’energia) dal +7,1% di ottobre, mentre l’inflazione dei beni di consumo non alimentari è rimasta stabile (+0,9%).

In base alle aspettative degli operatori economici, nei prossimi mesi prevarrà ancora uno scenario di moderazione dei prezzi. La politica dei listini per le imprese che producono beni destinati al consumo si è confermata cauta e il saldo destagionalizzato tra intenzioni di rincari o diminuzioni dei listini si è nuovamente ridotto, sui valori minimi dell’anno. Tra i consumatori, accanto all’aumento di quanti prevedono prezzi stabili è diminuita la quota di coloro che si attendono incrementi costanti o più deboli.

Le prospettive per il futuro non sono incoraggianti. A dicembre, l’indice del clima di fiducia dei consumatori ha segnato un ulteriorecalo diffuso a tutte le componenti: le aspettative per il futuro hanno registrato un deciso peggioramento e anche le attese sulla disoccupazione hanno mostrato segnali negativi. Nello stesso mese, anche la fiducia delle imprese è peggiorata in tutti i settori economici a esclusione del commercio al dettaglio. Tra le imprese manifatturiere, le attese di produzione hanno evidenziato un miglioramento mentre i giudizi sia sul livello degli ordini sia sulle scorte di prodotti finiti hanno registrato un peggioramento. L’indicatore anticipatore ha segnato una nuova flessione suggerendo il proseguimento dell’attuale fase di debolezza del ciclo economico italiano.

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