Dopo la ripresa post-Covid, peggiora nuovamente lo stato di salute delle imprese italiane come rileva l’Osservatorio rischio imprese di Cerved, secondo cui tra il 2021 e il 2022 le società a rischio di fallimento sono cresciute quasi del 2%, passando dal 14,4% al 16,1% e raggiungendo le 99.000 unità (+11.000), con 11 miliardi di euro in più di debiti finanziari ora pari a 107 miliardi (10,7% del totale).
I macro-comparti più colpiti dal peggioramento della congiuntura risultano le costruzioni (dal 15,2% al 17,6% di società a rischio) e i servizi (dal 14,9% al 16,7%); a livello più disaggregato, i settori più colpiti rientrano nei servizi non finanziari (in particolare ristorazione e alberghi), nei trasporti (gestione aeroporti) e nell’industria pesante (siderurgia).
Anche tra i primi 10 settori con la più alta quota di imprese a rischio, otto appartengono ai servizi: trasporti aerei(41,2%), parrucchieri e istituti di bellezza (37,8%), distribuzione al dettaglio nel ramo moda (36,4%).
Quanto alle dimensioni, il peggioramento è più consistente tra le micro-imprese (dal 14,9% al 16,7% in area di rischio) e le piccole (dall’8,0% al 9,9%), già maggiormente colpite dalla pandemia e più esposte agli effetti dei rincari.
«Le stime si basano sull’analisi dell’andamento di 618.000 società di capitale nel periodo 2019-2022 – spiega Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved – valutato attraverso il “Cerved group score”, un indice di rischio che calcola le probabilità di default delle aziende in chiave prospettica. Le tempestive misure di salvaguardia adottate durate la pandemia hanno contribuito a mettere in sicurezza il sistema e il forte rimbalzo delle performance economiche legate agli effetti del Pnrr ha portato a disegnare scenari migliorativi».
Tuttavia, secondo Mignanelli, «le condizioni subentrate nei primi mesi del 2022, tra cui l’aggravarsi dei rincari delle materie prime e il conflitto russo-ucraino, seguiti da inflazione, aumento del costo del debito, l’uscita delle misure di sostegno, hanno purtroppo minato la capacità di tenuta di un sistema produttivo già debilitato».
Se poi si considerano anche le società cosiddette “vulnerabili”, che nel triennio 2019-2022 sono passate dal 29,3%(181.000) al 32,6% (201.000), i debiti finanziari crescono di altri 195,8 miliardi di euro (+28 miliardi), pari al 19,5% del totale.
Sul fronte dell’occupazione, ci sono oltre 3 milioni di lavoratori, quasi 1 su 3 (30,5%), impiegati in società “fragili”: agli 831.000 addetti delle imprese a maggior rischio (l’8,5%, +129.000 persone rispetto al 2021), vanno aggiunti gli oltre 2,1 milioni che lavorano in società considerate “vulnerabili” (21,9%, +228.000). Le imprese “fragili” si trovano soprattutto al Sud, dove costituiscono addirittura il 60,1% del totale, aggravando il già ampio differenziale con il Nord Italia.
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