Nell’offerta dei servizi pubblici digitali, la pubblica amministrazione italiana è tra le peggiori d’Europa; conseguentemente i tempi medi per il rilascio dei permessi e delle autorizzazioni sono tra i più elevati: insomma, una burocrazia da incubo.
Carte, timbri, moduli da compilare e attese agli sportelli sono vissuti da tanti imprenditori come dei veri e propri incubi e costi occulti. Per tanti cittadini, invece, quando ci si deve interfacciare con la macchina pubblica spesso si scivola in un profondo stato di angoscia.
Non solo, con un miglioramento della qualità dei servizi pubblici che avanza a passo di lumaca quando non peggiora, la cattiva abitudine della pubblica amministrazione italiana di richiedere, in particolare alle imprese, dati e documenti che le amministrazioni già possiedono è diventata una prassi consolidata.
Secondo l’Ufficio studi della Cgiba i disservizi della burocrazia da incubo della pubblica amministrazione italiana hanno una ricaduta economica spaventosamente elevata. Elaborando alcuni dati pubblicati dall’OCSE, per le Pmi italiane il costo annuo ascrivibile all’espletamento delle procedure amministrative è di 80 miliardi di euro. Praticamente una tassa occulta da far tremare i polsi della quale nessun politico e amministratore pubblico lotta per ridurla se non azzerarla con benefici per tutti.
La complessità nell’adempiere alle procedure imposte dalla pubblica amministrazione è un problema che in Italia è sentito da ben 73 imprenditori su 100. Tra i 20 paesi dell’Area dell’Euro solo in Slovacchia (78), in Grecia (80) e in Francia (84) la percentuale degli intervistati che ha denunciato questo problema è superiore al tasso riferito all’Italia. La media dell’Eurozona è pari a 57.
Qualsiasi osservatore farebbe fatica a immaginare che in un Paese la pubblica amministrazione possa rappresentare un ostacolo, anziché un elemento di sostegno e di crescita economica. Ma in Italia, purtroppo, le cose stanno diversamente, anche se esistono esempi di eccellenza nel pubblico, specie al Nord Italia, ma che mediamente funziona con difficoltà e in alcune aree del Paese costituisce un freno allo sviluppo. Si pensi che, in virtù del “Regional Competitiveness Index” (RCI), con riferimento al sub-indice relativo al contesto internazionale, tra tutte le realtà italiane la prima, il Trentino, si posiziona al 158° posto, su 234 territori UE monitorati in questa indagine.
Secondo uno studio dell’OCSE, l’inefficienza della pubblica amministrazione ha delle ricadute negative sul livello di produttività delle imprese private. In buona sostanza, dai calcoli dell’Organizzazione ottenuti attraverso l’incrocio della banca dati Orbis del Bureau van Dijk e dei dati di Open Civitas, emerge che la produttività media del lavoro delle imprese è più elevata nelle zone (Nord Italia) dove l’amministrazione pubblica è più efficiente (sempre Nord Italia). Diversamente, dove la giustizia funziona peggio, la sanità è malconcia e le infrastrutture sono insufficienti (prevalentemente nel Sud Italia), anche le imprese private di quelle regioni perdono competitività.
L’Institutional Quality Index (IQI) è un indice che misura la qualità delle istituzioni pubbliche presenti in tutte le realtà territoriali italiane. Lo stesso è stato concepito nel 2014 dall’Università degli Studi di Napoli Federico II. Questo misuratore assume un valore che va da 0 a 1; a differenza di altri che si basano sulle percezioni dei cittadini, quello redatto dai docenti napoletani fa riferimento a dati oggettivi e considera i servizi pubblici, l’attività economica territoriale, la giustizia, la corruzione, il livello culturale e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Recentemente è stato aggiornato al 2019. Il risultato che emerge dall’applicazione di questo parametro ci consegna un Paese spaccato a metà; se i livelli di eccellenza più elevati della pubblica amministrazione italiana a livello territoriale si concentrano prevalentemente al Nord, quelli più modesti, invece, si trovano al Sud.
La realtà territoriale più virtuosa d’Italia è Trento, con indice IQI 2019 pari a 1; rispetto a 10 anni prima il Trentino ha recuperato 2 posizioni a livello nazionale. Seguono al secondo posto Trieste e al terzo Treviso. Appena fuori dal podio, Gorizia, Firenze, Venezia, Pordenone, Mantova, Vicenza e Parma. Insomma, nei primi 10 posti, ben 8 realtà appartengono alla macro area del NordEst, sempre più motore sociale ed economico del Paese. In coda, infine, Catania, Trapani, Caltanissetta, Crotone e Vibo Valentia che, purtroppo, occupa l’ultima posizione.
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