Si profila una maggiore frammentazione del mercato mondiale dell’acciaio a causa della pandemia da Coronavirus, con una forte spinta al riportare in Italia e in Europa le produzioni che erano state delocalizzatefuori dai confini nazionali, con la conseguente creazione di diversi mercati macroregionali attratti da minori costi operativi e minori vincoli ambientali.
La tendenza emerge da un’analisi condotta dall’Ufficio studi siderweb, con l’economista Gianfranco Tosini.
Stando agli ultimi dati disponibili (Eurofond, Reshoring overview 2015-2018), ha riguardato settori utilizzatori di prodotti o componenti in acciaio (macchine e apparecchi meccanici, apparecchi elettrici, prodotti in metallo, automotive e altri mezzi di trasporto) il 40% del totale delle decisioni di rilocalizzazione portate a termine dalle imprese europee. In Europa, l’Italia è il Paese più attivo.
Con la pandemia da Coronavirus che ha mostrato rischi e complessità del mercato cinese, uno dei principali piloni su cui poggia la rete delle catene globali del valore, emerge la «necessità di mettere a punto sistemi di gestione delle catene di fornitura più attente al lungo periodo e più resilienti – ha spiegato Tosini – perché siano pronte a sopperire alla carenza di materiali provenienti da stabilimenti in aree colpite da crisi».
Un’analisi condivisa da Antonio Gozzi, amministratore delegato del Gruppo Duferco, tra i maggiori produttori e commercianti di prodotti siderurgici al mondo secondo cui il mercato dell’acciaio dell’Unione «sarà esposto a scorribande da parte di produttori, non solo cinesi, che godono di vantaggi asimmetrici (nessuna tassa sulla CO2, accesso a sistemi di materie prime più competitivi…). L’UE si difenderà, nel rispetto delle regole del WTO e con il contenimento del commercio sleale». Ma sarebbe necessaria più agilità di intervento: «storicamente l’adozione di misure di difesa commerciale richiede un anno: servirà una sveltezza di risposta – ha affermato Gozzi – che fino a oggi non c’è stata».
Quanto alla contingenza, Gozzi si è detto convinto che i bilanci 2020 dell’acciaio italiano «saranno in perdita, avendo perso praticamente due mesi di produzione. Ma le imprese italiane sono molto patrimonializzate, reggeranno il colpo».
Non si ferma, infine, il progetto di investimento da circa 150 milioni di euro su cui sta lavorando Duferdofin-Nucor per la costruzione di un nuovo laminatoio travi d’acciaio a San Zeno (Brescia). «Siamo in ritardo perché il decreto “Cura Italia” ha allungato i termini autorizzativi. Si dovrebbe andare a giugno/luglio. Ma andiamo avanti – ha concluso Gozzi -. Farci trovare pronti da una possibile campagna keynesiana di rilancio delle infrastrutture, non solo in Italia ma in Europa, è un sogno nel cassetto, ma anche una corretta previsione di business».
Sul tema della rilocalizzazione della produzione dell’acciaio è intervenuto Gianfranco Tosini, dell’Ufficio Studi siderweb, secondo cui «la pandemia da Coronavirus mostra quanto sia fragile il sistema di produzione internazionale del XXI° secolo e di conseguenza il modello di globalizzazione fondato su un’elevata frammentazione produttiva su scala globale, che ha originato le cosiddette “catene globali del valore” (GVC)».
Con le GVC, ha spiegato Tosini, «s’intende l’insieme delle attività svolte da imprese, che si trovano in Paesi diversi e che vanno dall’ideazione alla vendita all’utilizzatore finale del prodotto. La Cina è uno dei nodi principali delle GVC ed è diventata un importante fornitore di beni intermedi in molti settori. Le esportazioni cinesi di questi beni, utilizzati da altri Paesi come input per le loro produzioni ed esportazioni di beni finiti, sono salite dal 24% delle esportazioni totali nel 2003 al 32% nel 2018».
Anche l’Italia, ha ricordato Tosini, «è fortemente integrata nelle GVC: il valore aggiunto italiano connesso alla sua partecipazione, cioè contenuto nelle esportazioni di altri Paesi, è pari al 23% dell’export del nostro Paese, mentre la quota di valore aggiunto estero contenuto nelle esportazioni italiane ha raggiunto il 33%».
La crisi del 2008, ha anche spiegato Tosini, «ha ridimensionalo l’effetto moltiplicatore delle GVC sul commercio internazionale, rappresentato dagli scambi di beni intermedi. Infatti, dal 2012 il divario di crescita tra laproduzione e il commercio mondiale si è praticamente annullato, oltre che per motivi congiunturali(rallentamento del tasso di crescita dell’UE e della Cina), anche per motivi strutturali, tra i quali anche il ritorno in patria (reshoring) delle produzioni che erano state delocalizzate fuori dai confini nazionali».
Gli Stati Uniti sono capofila nei rimpatri manifatturieri, mentre in Europa è l’Italia il paese più attivo, ma «affinché le imprese dei settori utilizzatori di acciaio ricorrano in misura maggiore ad operazioni di ritorno in patria è indispensabile che nel Paese originario ci siano fattori di attrattività duraturi nel tempo, quali infrastrutture più efficienti, un maggior livello di produttività, investimenti in ricerca e sviluppo, qualità del capitale umano, incentivi pubblici».
Nel breve periodo, «in attesa che si dispieghino gli effetti di lungo termine degli interventi di tipo strutturale, sull’assetto del mercato siderurgico globale influiranno le misure che i diversi Paesi dovranno adottare per far fronte agli effetti asimmetrici provocati dalla crisi economica causata da Coronavirus. Questi interventi di carattere temporaneo (dazi e/o contingenti all’import) aggiunti a quelli di carattere strutturale potrebbero – ha detto Tosini – frammentare il mercato globale dell’acciaio in diversi mercati di dimensione macroregionale».
Per il giornalista Carlo Muzzi, esperto di geopolitica, Stati Uniti, Cina, Europa anche dopo la grande pandemia di Coronavirus restano i principali attori dello scenario geopolitico mondiale che andranno ad influenzare la politica e l’industria italiana. E, ancora una volta, lo scacchiere globale sarà dominato dal braccio di ferro Usa-Cina.
A fronte di tutte le stime economiche che mostrano un sensibile rallentamento del mondo, in cui forse solo la Cina potrebbe avere un impatto ridotto, si sviluppano «nuove sfide su problemi vecchi. Anche dopo la pandemia difficilmente cambierà l’atteggiamento di Donald Trump nei confronti della politica estera e commerciale – ha ribadito Muzzi -. Dobbiamo tener presente che questo è un anno di elezioni presidenziali e il motto scelto da Trump è “re-make Usa great again”. In pratica, la scelta è di ottenere il successo battendo sulle stesse corde toccate nella campagna elettorale precedente. Per questo gli Usa hanno riavviato quella che viene chiamata la “trappola di Tucidide” nei confronti della Cina, vale a dire partire all’attacco dell’avversario per poi costringerlo a trattare. Ed è evidente con la campagna dove si punta alla responsabilità diretta di sperimentazioni cinesi alla base dell’epidemia di Covid-19. Un atteggiamento su cui si innesterà un nuovo protezionismo, con cui ancora una volta anche l’Europa dovrà confrontarsi».
Pechino però non sta a guardare ed infatti replica agli Stati Uniti provando ad applicare a sua volta la “trappola di Tucidide” nei confronti degli Usa, ma con un occhio all’Ue dove la Cina prova ad entrare.
«È evidente che il colosso asiatico ha provato ad entrare in Europa tramite la tecnologia, il 5G ad esempio, oppure la politica della “Nuova via della seta” – ha ribadito Muzzi -. Senza dimenticare poi la possibile acquisizione da realtà cinesi di aziende europee particolarmente strategiche sul fronte tecnologico». Specieora che la crisi da Coronavirus ha depresso l’economia, con molte aziende in fortissima crisi di liquidità con conseguenti pesanti svalutazioni patrimoniali.
Oltre che le minacce esterne, l’Europa deve fronteggiare anche eventuali incrinature dal punto di vista interno come ha reso evidente il recente dibattito sugli strumenti di sostegno all’economia.
«Forse la sfida principale dell’Europa è quella rappresentata dallo scontro tra quelli che si definiscono i “Paesi frugali” contro i “Paesi della coesione” guidati dall’Italia – ha spiegato Muzzi -. È un confronto tra due visioni dell’Ue, la prima in cui l’Unione deve solo garantire la stabilità finanziaria della macro area, mentre la seconda che invece ritiene che debba essere anche garantito un supporto alla crescita e non solo regole finanziarie. Un confronto che in certi casi ha rischiato di arrivare ad una spaccatura nel mercato unico. Uno scenario che di fatto ha costretto la Germania a cercare un punto di mediazione. Un territorio molto ostico in cui Roma è riuscita a muoversi senza arrivare allo strappo».
Mediazione che per l’Italia dovrebbe tradursi in una serie di strumenti di supporto che il nostro Paese dovrà sfruttare in toto per poter supportare il bilancio senza far esplodere il debito. «Debito con cui dovremo confrontarci prima o poi, anche se i sistemi di supporto potrebbero far ulteriormente slittare questo confronto, anche se non lo potremo procrastinare all’infinito – ha aggiunto Muzzi –. Non dobbiamo infine dimenticare che sul fronte internazionale ci verrà probabilmente chiesto conto anche della nostra vicinanza alla Cina. È evidente che una forza politica di maggioranza abbia rapporti preferenziali con Pechino. Questo però dovrà confrontarsi prima o poi con la nostra appartenenza all’Alleanza atlantica, con Trump che ha dimostrato più volte di proporre un modello in cui sovrappone alleanze politiche ad alleanze economiche».
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