Europa schizofrenica: solo qualche mese fa, l’Europarlamento sdoganava l’utilizzo della parola “carne” anche per i prodotti che a base di carne animale non sono, mentre ora vieta l’utilizzo della parola “latte” per le bevande vegetali che non impiegano latte di origine animale. Due pesi, due misure che disorientano non poco consumatori ed aziende.
Una situazione che fa reagire Filiera Italia e il suo consigliere delegato, Luigi Scordamaglia: «ora si faccia chiarezza anche sui prodotti carne: basta chiamare hamburger, bistecche, polpette e salami prodotti ottenuti nella maggior parte dei casi da vegetali importati da altri continenti, disidratati sottoposti a processi di trasformazione chimica ed arricchiti di ingredienti sintetici per dare sapore e consistenza di carne».
«Un colpo d’arresto – che in realtà avrebbe potuto essere anche più drastico e definitivo – per chi vuole ingannare il consumatore spacciando prodotti vegetali o anche sintetici al posto di prodotti naturali di latte o a base di latte» ribadisce Scordamaglia commentando lo stop all’emendamento della riforma della Pac – la Politica agricola comunitaria – che avrebbe potuto consentire l’etichetta di latte alle bevande vegetali.
«L’emendamento – prosegue Scordamaglia – era l’ennesima dimostrazione del tentativo da parte di multinazionali di sostituire prodotti di qualità naturali con prodotti di sintesi artificiali ingannando il consbumatore e portandolo a credere che quello che acquista sia un prodotto ad alto valore nutrizionalenon essendo invece così».
E quanto alla “carne” vegetale, Scordbamaglia ricorda la necessità di «porre fine all’inganno deiconsumatori portandoli a credere che questi prodotti abbiano un valore nutrizionale in proteine e vitamine pari alla cbarne, quando invece hanno spesso al primo posto come ingrediente l’acqua».
La notizia arriva alla vigilia della Giornata mondiale del latte del 1° giugno. Secondo Assolatte, i maggiori consumatori sono gli europei, in particolare i popoli del Nord, con un consumo annuale pro capite dove svettano gli estoni (121 kg a testa) seguiti dagli irlandesi (con 113 kg), finlandesi (104 kg), inglesi (97 kg), danesi (80 kg), austriaci (74 kg) e svedesi (74 kg).
Non c’è da stupirsi se il settore lattiero caseario in Europa è il secondo per dimensioni e fatturatonell’ambito della produzione agricola dove l’Italia ha un andamento peculiare. Se, infatti, il consumo annuale pro capite di latte alimentare è andato progressivamente riducendosi tra il 2011 e il 2019, nell’ultimo anno (complice il confinamento), si è assistito ad un incremento nell’acquisto di molti prodotti caseari, tra cui il latte fermentato e lo yogurt. Fortunatamente, perché meno latte e derivati si traduce in un minor apporto di calcio e altre sostanze di alto valore nutrizionale, tra cui fosforo, potassio e vitamine del gruppo B presenti in questi alimenti.
Paese che vai, latte che trovi. Nel mondo l’85% del latte alimentare che viene comunemente consumato è di mucca, ma il restante? In Italia, accanto alla produzione vaccina, troviamo quella caprina che ha un suo buon mercato, mentre quella ovina è riservata all’industria casearia. Di nicchia, ma d’eccellenza, anche la produzione del latte d’asina.
Ma tanti altri animali sono produttori di latte che viene usato per l’alimentazione quotidiana in altre nazioni. Il cammello, ad esempio, produce dai 5 ai 20 litri di un latte simile, nel gusto, a quello vaccino, ma più denso e leggermente salato. Si produce in Somalia e Arabia Saudita. Poi il bufalo d’acqua, allevato in India e Pakistan. Mammifero dotato di lunghe corna appuntite, è un gran produttore di latte, che risulta più cremoso e bianco di quello vaccino. Sempre in questi due grandi Paesi asiatici, c’è l’eccellente latte di Sahiwal, una razza bovina pregiata originaria della regione indiana del Punjab. Risalendo le catene dell’Himalaya, si trova lo yak, o bue tibetano, produttore di un latte ricco di proteine e di grassi, da cui si ricava un burro molto apprezzato dalle popolazioni delle grandi altezze.
Spostandosi in Scandinavia, si scoprire il latte di renna. Anche questo bel mammifero dalle ampie corna, fa un latte cremoso e dolce, ricchissimo di grassi. Peccato che ogni renna produca appena una decina di tazze di latte al giorno.
Restando in zona, troviamo il latte di alce, prodotto e consumato in Svezia e Russia. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un prodotto più proteico e grasso rispetto a quello vaccino. Gli alci da allevamento ne producono da 1 a 6 litri al giorno, per questo il suo prezzo è davvero elevato
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